Chi si prenderà cura dei bambini autistici quando diventeranno adulti? È una domanda che non riguarda solo le famiglie ma l’intera società, perché nei prossimi vent’anni l’Italia dovrà affrontare una delle emergenze più delicate del sistema sanitario e del welfare. Lo ricorda lo scrittore Daniele Mencarelli nel libro-inchiesta “No Tu No. Che fine fa un Paese se la salute non è per tutti” (Il Sole 24 Ore), sottolineando come “da qui a vent’anni avremo 700 mila adulti nello spettro autistico, una responsabilità civile ed economica che il Paese deve imparare a gestire oggi”.

Un’urgenza italiana

La “crisi silenziosa” dell’autismo adulto non è solo un tema italiano, ma da noi pesa l’assenza di una rete strutturata di diagnosi, assistenza e inclusione. Per decenni, l’attenzione medica e politica si è concentrata sui bambini, trascurando la fase adulta e la diagnosi tardiva, che spesso arriva dopo anni di sofferenze invisibili.

Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Public Health basato sui dati del Global Burden of Disease, tra il 1990 e il 2021 le persone con disturbi dello spettro autistico (Dsa) nella fascia 15-39 anni sono aumentate da 17,5 a oltre 24 milioni. In Italia, le stime parlano di circa l’1% della popolazione, ovvero almeno 500 mila persone, ma mancano dati precisi sugli adulti.

L’autismo nascosto

Come spiega Liliana Dell’Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip), “l’autismo non si esaurisce nell’infanzia: accompagna la persona per tutta la vita”. Molti adulti – soprattutto donne – arrivano tardi alla diagnosi, dopo aver sviluppato strategie di camouflaging, ovvero di mascheramento delle difficoltà sociali e comunicative. Questo rende più complessa la presa in carico e l’accesso a percorsi terapeutici adeguati.

I dati indicano un aumento del 56% della disabilità associata all’autismo nella fascia 30-39 anni. È il momento in cui vengono meno i supporti scolastici, e la vita adulta – lavoro, indipendenza, relazioni – diventa una prova spesso insostenibile. “Serve un cambio di prospettiva: l’autismo non finisce a 18 anni”, afferma Antonio Vita, vicepresidente Sip.

Secondo le stime della Sip, in Italia esistono 1.214 centri per diagnosi e presa in carico delle persone con autismo, ma solo 648 sono attrezzati anche per seguire gli adulti. Ciò significa che la metà delle persone perde l’assistenza al compimento della maggiore età, con gravi ripercussioni sulla qualità della vita e sul carico delle famiglie.

Le priorità per il futuro

Gli esperti concordano: bisogna spostare il focus sull’intero ciclo di vita. Giulio Corrivetti, vicepresidente Sip, parla di un’“urgenza culturale e sanitaria” che richiede nuove politiche pubbliche, più formazione per i professionisti e strumenti concreti di inclusione lavorativa e abitativa.
“La crisi dell’autismo adulto è ormai fuori dall’ombra – sottolinea Emi Bondi, dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo –. L’obiettivo globale di creare società inclusive entro il 2030 impone di far crescere i servizi con le persone”.

L’autismo adulto rappresenta oggi una sfida che unisce salute, lavoro e diritti civili. Una sfida che richiede pianificazione, investimenti e soprattutto la consapevolezza che l’inclusione non è solo una parola, ma un progetto di civiltà. Perché, come ammonisce Mencarelli, “se la salute non è per tutti, non è per nessuno”.

di Redazione AltovicentinOnline

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