“Per dare risposta al problema della carenza dei medici non serve assumere specializzandi, basta far funzionare in modo più efficace il sistema della Medicina, con un medico in medico ogni 11 in servizio”.

E’ la risposta al più grave problema sanitario del momento, destinato a protrarsi fino al 2030, di Claudio Sinigaglia, consigliere regionale del Pd, che vede nel modello della Sanità giapponese la soluzione per la carenza di medici specializzati.

Bisogna ispirarsi al modello sanitario del Giappone insomma, dove invece che 4,5 medici ogni mille abitanti ce ne sono 2,2. “E non si può certo dire che nel paese del Sol Levante non prendano sul serio la salute, visto che sono il paese più longevo”.

Gli specializzandi in corsia quindi non sono la soluzione secondo Sinigaglia, che interviene a gamba tesa sul dibattito e dichiara: “Usciranno a breve dal sistema sanitario italiano circa 30mila medici in più di quelli che sono disponibili ad entrare in servizio. La soluzione proposta dal Veneto di anticipare l’assunzione di 500 specializzandi non è risolutiva del problema, in quanto gli assunti non saranno disponibili per nuovi inserimenti, fino all’acquisizione del titolo. Partecipo all’acceso dibattito in corso sulla carenza di personale medico, utilizzando anche alcuni risultati di una mia recente ricerca. La carenza di 30mila medici corrisponde a poco più del 10% della consistenza iniziale. Si tratta di far funzionare in modo efficace il sistema della Medicina con un medico in meno ogni 10-11 medici attualmente in servizio. La soluzione sostenibile passa necessariamente attraverso una modesta riorganizzazione del lavoro medico: riduzione dei compiti di tipo organizzativo, aumento dei massimali della Medicina generale e della Pediatria di libera scelta, aumento della produttività del lavoro medico, maggiore integrazione tra medici e operatori delle 23 professioni sanitarie, che partecipano alle prestazioni sanitarie (hanno la laurea triennale, alcuni anche quella magistrale, partecipano a master e a specifici dottorati di ricerca attivi anche in Italia). Un confronto internazionale può aiutare: in Giappone, il numero di medici occupati rispetto alla popolazione è pari alla metà di quello italiano (2,2 medici per 1000 abitanti, rispetto ai 4,5 medici italiani per 1000 abitanti), mentre è doppia la consistenza degli infermieri rispetto a noi (11 per 1000 abitanti, rispetto ai 6 italiani ogni 1000 abitanti). E non si può dire che il Giappone trascuri la salute della popolazione, essendo il Paese che ha la più alta speranza di vita alla nascita di tutto il mondo. All’estremo opposto è la situazione della Grecia con 6 medici ogni mille abitanti, e pochissimi infermieri (1 ogni 2 medici). L’Italia è al quarto posto nella graduatoria dei Paesi Ocse per numero di medici dopo Grecia, Russia, Austria. Ma non regge il confronto con la presenza delle altre figure professionali. In Italia, la presenza di medici nei sistemi sanitari dipende soprattutto dalla disponibilità di medici, più che da un modello organizzativo nazionale del lavoro medico; infatti, gli squilibri attuali sono la conseguenza dell’accesso libero a Medicina degli anni ’70 e primi anni ’80 del secolo scorso, che ha provocato un forte e rapido aumento degli organici medici negli anni ’80, medici che stanno ora uscendo dal sistema lavorativo. La soluzione da evitare assolutamente è quella di aumentare il numero degli accessi a Medicina e Chirurgia: non si risolve comunque il problema fino al 2030, si rischia di produrre nuovi squilibri tra domanda e offerta di lavoro medico negli anni ’30; le potenzialità formative delle Scuole di Medicina sarebbero insufficienti e comprometterebbero la qualità formativa dei nuovi laureati come già accaduto negli anni Settanta. Il numero attuale di circa 10.000 nuove iscrizioni all’anno sembra adeguato a mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta di medici a partire dal 2030”.

A.B.

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