“Con la seconda ondata pandemica stiamo osservando un’enorme richiesta di aiuto da parte dei ragazzi, ma è una tendenza che registravamo già da 10 anni a questa parte. Tra il 2011 e il 2018, infatti, la richieste di consulenze neuropsichiatriche al dipartimento di emergenza e accettazione (Dea) dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù (Opbg) sono aumentate di circa 6 volte, passando da 155 a 889. E in questo quadro sono aumentate di circa 20 volte (da 12 a 237) le richieste di aiuto per motivi di autolesionismo e comportamenti suicidari”. A tracciare il quadro è Giulia Serra, psichiatra dell’Opbg, nel corso del suo intervento al 76esimo congresso italiano di pediatria promosso dalla Società italiana di pediatria (Sip). “Nello specifico il 39% di questi ragazzi- spiega Serra- è arrivato in pronto soccorso per un tentato suicidio, il 47% per ideazione suicidaria e il 14% per comportamenti autolesionistici a scopo non suicidario. Per la metà dei ragazzi il tentativo autolesivo ha riguardato l’ ingestione incongrua di farmaci- sottolinea la psichiatra- mentre la seconda causa di arrivo in pronto soccorso è stata il tentativo di defenestrazione”. Tentativi che “nel 22% dei casi hanno avuto una ‘letalità severa’, ossia hanno richiesto cure mediche in terapia intensiva o ospedalizzazione- precisa Serra- e nel 30% ‘letalità moderata’, comunque con necessità di cure mediche “.
Guardando all’oggi, la psichiatra spiega che “nel reparto di Neuropsichiatria infantile dell’Opbg circa la metà dei ricoveri sono per comportamento suicidario, ideazione suicidaria o comportamento autolesivo e l’80% di questi pazienti quando viene dimessa- dice- ha una diagnosi di disturbo dell’umore, il 61% lo presenta in comorbidità con altro disturbo, per esempio di tipo alimentare”. In generale il suicidio è la seconda causa di morte per i ragazzi tra i 15 e i 29 anni. “Può essere considerato la punta di un iceberg- spiega Serra- la parte che simbolicamente sta fuori dall’acqua è caratterizzata dai comportamenti autolesivi che da un punto di vista clinico arrivano alla nostra attenzione, ma poi c’è tutta un’altra parte, quella che sta dentro l’acqua, fatta di comportamenti autolesivi che magari non giungono mai all’osservazione clinica. Del 20% degli adolescenti che mette in atto comportamenti autolesivi, infatti, solo 1/8 arriva in ospedale, in molti casi proprio perché ha ingerito dei farmaci”.
Quali sono i segnali di allarme per il rischio suicidio? Serra ne elenca nove: “Esprimere sentimenti suicidi o riferirsi al tema del suicido; segni di depressione; cambiamenti di umore improvvisi e cambiamenti di personalità; comportamenti autolesivi (cutting) o ad alto rischio (correre in moto o in macchina, saltare da grosse altezze, sport estremi); consumo di alcol o droghe, (soprattutto allarme per consumo in solitudine); isolarsi da amici e famiglia; comportamenti violenti o ideazione violenta/omicida; alterazioni del comportamento alimentare; problematiche dell’identità di genere”.
Cosa fare? “Innanzitutto identificare i vari fattori che contribuiscono allo scatenamento della crisi suicidaria, per esempio socio-ambientali e familiari come lutti o perdite affettive- sottolinea la psichiatra- poi portare tempestivamente i ragazzi a una visita psichiatrica. Durante la visita è essenziale chiedere direttamente del suicidio- precisa- mai eledure l’argomento. E infine creare un’allenza con i propri ragazzi e con i terapeuti per prevenire il rischio di suicido”, conclude la psichiatra.
Agenzia Dire