di Isabella Faggiano di Sanità Informazione
Infezioni delle vie urinarie, della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi sono le principali quattro cause delle infezioni correlate all’assistenza ospedaliera che, in Italia, colpiscono tra il 5 e l’8% dei pazienti ricoverati, ovvero 450-700mila persone. Ogni anno, circa 4.500-7mila pazienti perdono la vita proprio a seguito di un’infezione nosocomiale che può rappresentare la causa principale o accessoria di morte. “Eppure queste quattro tipologie di infezioni potrebbero essere ridotte fino al 35-60%, a seconda della tipologia, semplicemente applicando le procedure di riduzione del rischio già note”, assicura Maria Luisa Moro, Presidente della Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (SIMPIOS), in un’intervista a Sanità Informazione.
La contaminazione delle superfici
Tra queste, la detersione e, ove necessario, la disinfezione di routine delle superfici ospedaliere è sicuramente una delle più semplici e note, anche se, tuttavia, non sempre garantisce i risultati sperati. Un recente studio, pubblicato sull’American Journal of Infection Control, infatti, rivela che anche dopo un’accurata pulizia, nel rispetto dei protocolli standard, le superfici possono continuare ad ospitare microbi nocivi. “Il rischio di contaminazione microbica sui tavoli, sulle sponde del letto e su tutte le altre superfici presenti nelle stanze di degenza, è un problema ben noto – continua la Presidente Moro -. Tanto che, nel corso del tempo, sono state adottate precise procedure di sanificazione, attentamente stabilite, per mantenere al sicuro pazienti e sanitari. Solo per fare un esempio, gli operatori sono ‘istruiti’ affinché procedano alla igiene delle mani ogni qual volta toccano una superfice, soprattutto se potenzialmente contaminata, e sempre immediatamente prima e dopo un contatto diretto con il paziente”.
La ricerca americana
Lo studio è stato condotto presso il Central Texas Veterans Healthcare System, dove i ricercatori hanno prelevato campioni da 400 superfici. Si sono concentrati su quelle ad alto contatto, come manichini utilizzati per la pratica di rianimazione, postazioni di lavoro, tavoli, sponde del letto e tastiere dei computer nelle postazioni infermieristiche. Tutte queste superfici ospitavano batteri. In totale sono stati identificati 60 diversi tipi di batteri in tutti i campioni, tra cui 18 noti patogeni. I tipi più comuni di batteri patogeni noti includevano Enterococcus, Staphylococcus aureus, Streptococcus, Escherichia coli e Klebsiella aerogenes, tra gli altri. Alcuni tipi di batteri potenzialmente patogeni erano associati ad infezioni del flusso sanguigno correlate a catetere, meningite ed endocardite. Circa la metà dei batteri identificati attraverso questi campioni è stata trovata anche in campioni clinici prelevati dai pazienti
I limiti dello studio
Pur dimostrando la necessità di porre maggiore attenzione alla possibile contaminazione delle superfici, questo studio mostra dei limiti: “Dalla ricerca emerge che presso il Central Texas Veterans Healthcare System sono attivi protocolli standard per la sanificazione delle superfici. Tuttavia, i ricercatori non menzionano affatto che tali procedure siano state oggetto di monitoraggio”, aggiunge la dottoressa Moro. In altre parole, appare impossibile stabilire se le superfici sono risultate contaminate perché i metodi standard non sono sufficienti a garantire la disinfezione o se, invece, gli operatori incaricati non abbiamo effettuato le pulizie nel pieno rispetto dei protocolli previsti. “In Italia, ad esempio – continua la Presidente della SIMPIOS – i lavori di pulizia degli ospedali sono spesso affidati a ditte esterne attraverso gare di appalto e, pur mettendo nero su bianco le modalità con le quali il lavoro di sanificazione deve essere svolto, non sempre viene fatto un controllo a posteriori, per verificare che tali parametri siano rispettati. Detto ciò – continua la specialista – ritengo doveroso sottolineare che la totale decontaminazione delle superfici non è un obiettivo perseguibile: un ambiente frequentato da persone sarà sempre soggetto alla contaminazione deli batteri che questi stessi individui veicoleranno attraverso la propria flora”.
Le infezione ospedaliere allungano i tempi di degenza
Tutto questo a discapito dei più fragili: le persone ricoverate, infatti, possono sviluppare delle infezioni anche entrando in contatto con batteri comunemente non patogeni, ovvero che non creerebbero alcuna conseguenza in soggetti sani. Le persone maggiormente vulnerabili, infatti, non di rado, devono anche prolungare la propria degenza ospedaliera proprio per affrontare le cure necessarie a debellare l’infezione nosocomiale contratta: il 7,5-10 % delle giornate di ricovero è imputabile all’insorgenza di una complicanza infettiva. Da non trascurare nemmeno l’impatto economico sul sistema sanitario, superiore ad un miliardo di euro all’anno, soprattutto a causa dei costi che derivano dalla necessità di prolungare la degenza dei pazienti che contraggono un’infezione durante il ricovero già in corso.
Le soluzioni
Eppure, applicare un programma efficace di interventi di sorveglianza e controllo potrebbe prevenire fino a sei infezioni correlate all’assistenza ospedaliera su 10, una percentuale talmente significativa che dovrebbe indurre ad inserire il miglioramento della qualità e di gestione del rischio in Sanità tra gli obbiettivi prioritari delle politiche sanitarie. “Non basta formare e addestrare tutti gli operatori sanitari sulle procedure di riduzione del rischio delle infezioni correlate all’assistenza ospedaliera, la cui efficacia è già nota, è necessario anche che in ogni struttura si proceda alla verifica della reale applicabilità di tali procedure, della disponibilità di risorse economiche e della presenza di condizioni organizzative favorevoli, coinvolgendo anche le direzioni generali. E una volta che tutta la macchina di gestione del rischio verrà avviata sarà necessario effettuare controlli periodici per verificarne l’efficacia, così – conclude la presidente SIMPIOS – da poter procedere all’eventuale correzione dagli errori procedurali riscontrati”.