L’Italia investe meno degli altri paesi europei per la sanità pubblica, la spesa pro capite è di un terzo in meno rispetto alla Francia e alla Germania e il dibattito sul definanziamento e sulle sforbiciate alle risorse destinate alla salute riempie oramai millemila-pagine di quotidiani e terabyte di siti internet.
Se da un lato una schiera di liberisti oltranzisti si batte contro la gestione pubblica della sanità, affermando che quella dei tagli sia solo una leggenda, lanciando accuse sullo spreco di risorse pubbliche senza essere in grado di offrire una qualità all’altezza della spesa, descrivendo il sistema sanitario nazionale come un inutile macigno sul bilancio statale, e spingendo con forza verso una privatizzazione all’americana dell’intero sistema, dall’altro le opposte correnti politico-economiche denunciano i costanti tagli alla spesa per la salute e la conseguente devastazione dell’intero sistema della sanità pubblica, un settore che da sempre ha rappresentato il fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo.
Ma vediamo di fare un po’ di chiarezza in questa querelle. Innanzitutto, quando si analizzano i numeri della sanità, le sfaccettature che devono essere esaminate sono tante. È proprio questo il motivo per cui, per chi manifesta le proprie ragioni, diventa facile focalizzare l’attenzione dell’interlocutore su una visione parziale che può dare forza alle proprie affermazioni.
Noi, per fare una corretta verifica dei fatti, abbiamo preso a riferimento le elaborazioni statistiche del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità, ente che rappresenta la primaria fonte di studio a supporto delle decisioni in tema di politiche socio-sanitarie, e che fornisce elementi di riflessione sull’andamento e sulle tendenze in Italia e in Europa basate esclusivamente su evidenze scientifiche quantificabili.
Prima di tutto bisogna precisare che la sanità attinge non solo da fonti pubbliche, ma anche private. L’Italia, pur avendo un sistema sanitario pubblico di stampo universalistico, registra una quota di finanziamento pubblico pari al 74,2% contro una media europea dell’80,3%. In Europa solo 4 paesi fanno peggio di noi. La quota di copertura pubblica è in media aumentata in tutti i Paesi fino a raggiungere gli attuali valori superiori all’80,0% a partire dal 2016. Fa eccezione proprio l’Italia, dove la quota pubblica si è contratta nel periodo, sebbene sia lievemente in crescita dal 2018.
In valore assoluto, la spesa sembrerebbe essere aumentata, come affermano i liberisti. Se infatti nel 2001 la spesa sanitaria era di 71,3 miliardi, nel 2019 è stata pari a 114,5 miliardi, cioè oltre il 60% in più. In termini percentuali l’incidenza sul Pil registra un incremento di quasi l’1%.
Tuttavia, anche se questo può sembrare un trend positivo, in relazione agli altri Paesi EU-Ante 1995 con cui regolarmente ci confrontiamo, l’incremento italiano dell’incidenza della spesa sanitaria sul Pil misura la metà degli altri. Inoltre, la crescita è quasi interamente concentrata nei primi dieci anni, subendo una flessione evidente dal 2010 ad oggi, periodo in cui la quota pubblica della spesa è costantemente diminuita.
Per assegnare un valore oggettivo all’incremento occorre considerare due ulteriori fattori che impattano sui risultati: l’inflazione, dal punto di vista economico, e l’incremento della popolazione. L’indice che può darci indicazioni più chiare considerando questi due fattori è il finanziamento effettivo pro-capite nominale, ovvero quant’è in soldoni la spesa che lo Stato sostiene per ognuno di noi.
Nel 2018, la spesa sanitaria totale corrente italiana pro-capite è stata di 2.560 euro: secondo i dati diffusi dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, tale spesa risulta inferiore addirittura del 32% rispetto alla media dei Paesi EU-Ante 1995, che è di 3.765 euro.
Inoltre, la crescita del finanziamento effettivo pro-capite nominale è stata tra il 2010 ed il 2018 di appena 121,5 euro, meno dell’1% all’anno. Deflazionando tale importo con il valore generale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie, si rileva una variazione negativa del finanziamento pro-capite di € 48,5. Tale dato evidenzia la sostanziale stagnazione del finanziamento alla sanità in Italia nell’ultimo decennio. Quindi, la spesa pubblica pro-capite, pur essendo aumentata in termini nominali, di fatto in termini reali è diminuita.
Anche l’incidenza della spesa sul Pil è diminuita tra il 2013 e il 2018, passando dal 6,8% al 6,5%, contro una media dei Paesi EU-Ante 1995 pari all’8,3%.
Alla luce di questi dati possiamo affermare che la crescita dei finanziamenti osservabile tra il 2010 ed il 2018 è solamente nominale e deficitaria rispetto alle altre realtà europee. Già a partire dal 2011, infatti, il finanziamento pro-capite ha cominciato a decrescere progressivamente in termini reali fino al 2013, anno dopo il quale ha avuto una leggerissima inversione di tendenza fino al 2017, per poi decrescere nuovamente nel 2018. L’equilibrio del bilancio del sistema sanitario nazionale, nel caso italiano, è stato garantito solo dalla compartecipazione alle spese da parte dei cittadini attraverso ticket e altre prestazioni.
Se da un lato possiamo dire che i liberisti non hanno torto nel dire che l’andamento della spesa sanitaria sia cresciuto in valore assoluto, e che comunque non si discosta troppo dai dati storici, dall’altro, quando ci confrontiamo con gli altri paesi europei, ci accorgiamo che il nostro sistema sanitario nazionale è quello che ha ricevuto meno finanziamenti ed i cittadini italiani quelli che hanno avuto meno risorse a disposizione.
Per l’immediato futuro, nel frattempo, non si prospetta niente di buono: come descritto dalla Relazione tecnica allegata alla legge di Bilancio 2021, le previsioni sono di ulteriori tagli alla sanità per 300 milioni all’anno per il prossimo triennio.
Questi sono numeri crudi, ma le certezze contro cui ci siamo dovuti confrontare in questa pandemia, scoprendo tutte le debolezze del nostro sistema sanitario nella maniera più tragica, sono la carenza di posti letto, la ridotta capienza nei reparti di terapia intensiva, assenza di presidi a tutela degli operatori sanitari, insufficienza di medici, operatori e macchinari, dati incontrastabili dell’inefficienza di un sistema che si è rivelato inadeguato per contrastare l’emergenza sanitaria.
Forse è arrivato il momento di rivedere tutte le logiche che stanno dietro a questa gestione disastrosa della sanità, mirando ad ottimizzare al massimo le risorse, che spesso non riescono nemmeno ad essere superiori a quelle che vengono lì indirizzate, implementando di conseguenza moderni sistemi di gestione della cosa pubblica che possano fare da volano per un necessario rilancio.
Fabrizio Carta