Un terzo dei medici italiani, potendo, andrebbe subito in pensione. A sognare di poter barattare istantaneamente il camice bianco con una panchina al parco è proprio la “fetta” più giovane della professione: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni. È questo il dato che illustra sinteticamente quanto si siano deteriorate le condizioni di lavoro dei medici italiani negli ultimi anni, al punto che molti di loro abbandonerebbero la professione, se potessero.

L’indagine quantitativa “La condizione dei Medici a due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19” è stata condotta dall’Istituto Piepoli su input della Fnomceo e presentata oggi a Roma, nell’ambito della Conferenza nazionale sulla Questione Medica promossa proprio per accendere i riflettori sulle condizioni di lavoro dei professionisti medici italiani. D’altra parte, osservano gli stessi, con il Pnrr si parla tanto di rilancio del Ssn, delle strutture e delle tecnologie, ma poco e niente del rilancio delle professioni.

“All’aumento del Fondo sanitario nazionale – ha osservato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, nel suo intervento – non è poi corrisposto un analogo impegno teso a rimuovere le conseguenze sulla professione medica di quella stagione dei tagli in sanità che oggi tutti insieme condanniamo”. E così le indagini, come quella promessa dalla Fnomceo, continuato ad evidenziare “aree di criticità e di malessere della professione, al punto che sono tanti i sanitari che all’entusiasmo iniziale per una professione definita ‘la più bella del mondo’ oppongono la rassegnazione o addirittura l’abbandono di questa professione oramai soffocata da compiti impropri, carichi di lavoro insostenibili anche per la grave carenza di personale e da direttive spesso non calate nella realtà del sistema”.

Per Anelli, dunque, “oggi serve da parte dello Stato e delle Regioni un intervento straordinario che colmi le carenze e restituisca alla Professione medica quel ruolo che merita”. Servono “risorse e riforme per ridare dignità ai medici e ai professionisti garantendo loro autonomia e diritti”. Servono “norme specifiche da parte del Parlamento per garantire quel ruolo sociale che la Costituzione affida alla Professione medica quale garante dei diritti come quello alla vita, alla salute, all’uguaglianza, alla autonoma determinazione sulle scelte relative alla propria salute, alla libera ricerca e alla libera scienza”.

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