Secondo l’Istat in Italia le persone con disabilità sono quasi 13 milioni, di queste oltre 3 milioni hanno necessità di sostegno elevato. Tra di loro quasi 1 milione e 500mila ha più di 75 anni. Quante di queste persone hanno anche il cancro? “Non lo sappiamo con precisione- spiega Favo – Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia- sappiamo però, secondo lo studio sui costi out of pocket sostenuti dai malati oncologici che la stessa diagnosi e cura del cancro comportano un esborso economico di circa 1.800 euro l’anno a famiglia e le spese prevalenti sono per la casa, gli spostamenti, l’assistenza personale, gli esami e alcuni farmaci non oncologici”. Quello che sappiamo anche, secondo una revisione sistematica di 31 studi, “è che rispetto alle persone senza disabilità- spiega ancora Favo- quelle con deficit neuro-cognitivi (nella società occidentale circa l’1% della popolazione) presentano una minor sopravvivenza globale e una maggior mortalità cancro specifica dovute a ritardi nel trattamento, a minor utilizzo di cure all’avanguardia, a minor accesso agli antidolorifici e a inadeguata qualità delle cure palliative”. Nel 2022 la rivista ‘The Lancet Oncology’ ha analizzato la problematica della diversità di approccio diagnostico e terapeutico per i pazienti con disabilità, specie se con una patologia tumorale. “Risulta evidente- spiega Favo- come emergano delle diseguaglianze sanitarie sistemiche e persistenti che incidono in modo drammatico sulla qualità della vita dei pazienti con disabilità e persino sulla loro sopravvivenza”. La Federazione ha affrontato il tema nel 15° e 16° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici analizzando le difficoltà di accesso a diagnosi, cura, riabilitazione e ricerca clinica per le persone con disabilità e deficit neuro-cognitivi che si ammalano di cancro. “La mancanza di percorsi adattati e specifici ha ridotto l’accesso agli screening oncologici per i pazienti con disabilità, come per esempio nei tumori ad alto impatto sociale del mondo femminile quali la mammella o la cervice uterina- spiega Favo- Per questo motivo, in questi pazienti spesso risulta difficile riconoscere un cancro in stadio iniziale ed è proprio in questa fase di malattia che l’oncologia moderna ha ottenuto i più brillanti risultati in termine di sopravvivenza e di qualità della vita. Altro aspetto fondamentale risulta essere l’agevolazione dei percorsi diagnostici, difatti esiste talvolta una difficoltà da parte dei pazienti con disabilità a utilizzare i macchinari diagnostici disponibili”. “Effettuare una risonanza magnetica, esame diagnostico previsto ad esempio per il tumore al seno, può risultare molto complicato per persone con deficit neuro-cognitivi o per chi ha particolari difficoltà motorie- sottolinea Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo e presidente Aimac (Associazione italiana malati di cancro- se non si usano tutti gli adattamenti necessari, un esame come questo può essere un ostacolo insormontabile”. Difficoltà come queste possono portare talvolta a diagnosi oncologiche non tempestive, con un ritardato accesso alle cure per i pazienti con disabilità a cui, di fatto, può essere precluso l’accesso a terapie precoci e personalizzate in stadi iniziali di malattia e, globalmente, a molti aspetti previsti dai percorsi diagnosticoterapeutici in oncologia. Inoltre, scrive ancora Favo nel suo 16° Rapporto “i pazienti con disabilità affetti da cancro generalmente non vengono inseriti nelle sperimentazioni cliniche e difficilmente sono anche inquadrati in studi epidemiologici specifici per le loro problematiche. Da questa premessa ed anche in relazione alla esigua casistica è difficile poter adottare schemi di trattamento che siano validati da trial clinici basati secondo una metodologia solida e una statistica riconosciuta. Per tale motivo spesso il tema della disabilità non viene compreso o, peggio, sistematicamente distinto a seconda delle varie forme, quali le deficienze neuro-cognitive, motorie o di altro genere. Il riconoscimento di un deficit non porta quindi a un inquadramento clinico preciso per singolo paziente ma viene intesa generalmente come ‘comorbilità’ e peggio, nella malattia oncologica, come ‘comorbidità’. Pertanto il nostro sistema sanitario non riesce a presentare le basi per quella assistenza di cui i pazienti con disabilità necessitano in termini di approcci diagnostici e terapeutici distinti, formazione professionale dedicata, infrastrutture o anche supporto adeguate, tutte specificità che devono essere rivolte non solo a loro ma anche ai loro caregiver”. Inoltre “difficoltà si possono riscontrare anche nei trattamenti oncologici che, in alcuni casi- dice Iannelli- possono essere incompatibili con altri trattamenti farmacologici che le persone devono seguire per la propria patologia principale. Sono tutti aspetti che creano ostacoli che peggiorano o rendono parziale la presa in carico del paziente con disabilità con esiti della cura che possono risultare peggiori rispetto a un paziente senza disabilità”. Il Rapporto Favo evidenzia come “molti trattamenti oncologici, come l’immunoterapia, potrebbero aggravare il decorso di una pre esistente malattia neurologica o autoimmune. Altri, come la chemioterapia a base di platino e taxani, peggiorare i sintomi sensitivi di una pre esistente polineuropatia, per esempio diabetica o alcolica. Questa elevata complessità si traduce spesso in ridotte opportunità di cura a causa della mancata integrazione tra i servizi. Mai come in questo contesto è necessaria una pianificazione assistenziale integrata, con una valutazione multidisciplinare reale che consenta di elaborare un progetto di cura individualizzato. Un approccio condiviso tra tutti gli specialisti che operano in campo oncologico ma anche con il coinvolgimento degli specialisti di branca e la medicina territoriale con la sua componente socio assistenziale, risulta fondamentale ed irrinunciabile nei pazienti con disabilità”
