“Questi signori che vendono una pizza a 4-5 euro, cosa mettono in queste pizze? Come tutti devi pagare i fornitori, l’Iva sui fornitori, c’è lo scontrino al cliente, devi pagare gli stipendi, gli affitti, le tasse…”
“Noi vogliamo la qualità”, ribadisce. “La cosa che mi dà fastidio è che in Italia, quando hai successo, trovi sempre questa rabbia. L’Italia è un paese rancoroso, pieno di invidiosi”, conclude. Tra i commenti, spicca quello del professor Matteo Bassetti: “È vero, Italia piena di invidiosi e rancorosi. Hai ragione”.
Le reazioni dei pizzaioli
«Le mode passano, la tradizione resta». Il presidente dell’Unione delle pizzerie storiche napoletane «Le Centenarie», Salvatore Grasso, risponde alle «provocazioni» di Flavio Briatore che, in un messaggio via social ai titolari delle pizzerie napoletane, aveva giustificato l’alto prezzo della pizza servita nel suo locale con l’utilizzo di materie prime di alta qualità, la giusta paga ai dipendenti e il peso delle tasse.
Un affondo, quello di Briatore, che i più hanno relegato a trovata di marketing, ma che ha scatenato più di una risposta. A fare chiarezza, il presidente dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, Sergio Miccù, che spiega: «La pizza napoletana è un piatto pop, ossia popolare. Ha contribuito a sfamare intere generazioni, superando le crisi più dure che la città ha attraversato. Dalla guerra al colera. Il problema non è a quanto si venda la pizza con l’astice blu come condimento, ma a quanto sia giusto vendere una Margherita o una Marinara fatta con ingredienti di qualità. È troppo generico parlare di pizza: le classiche conservino il valore della tradizione e di piatto popolare. Quelle cosiddette da chef sono un’altra cosa e possono avere prezzi diversi».
Alessandro Condurro, amministratore delegato dell’Antica Pizzeria Michele in the world, imprenditore che vanta locali in tutto il mondo nati sulla scorta di una tradizione familiare, dice che «Briatore ha fatto male i conti: è vero che la pizza non può costare più solo 4 euro, perché se si usano ingredienti di qualità, con tutti gli aumenti di oggi, non può essere pagata così poco. Ma può costarne 6, e non 14. A lui dico che io vendo la Marinara o la Margherita a 6 euro e questo non significa che ho i dipendenti in nero. Noi paghiamo tutti i contributi e le tasse».
Condurro, tuttavia, è d’accordo con Briatore «quando dice che in Italia gli imprenditori sono invidiosi, specialmente i pizzaioli napoletani: il successo altrui purtroppo viene visto male. Una cosa assolutamente sbagliata che anch’io ho sempre condannato. Faccio i miei migliori auguri a Briatore e ai suoi locali. Se ciò significa creare lavoro, sostenere lo Stato, ben venga».
Pino Celio, titolare di una pizzeria moderna in stile newyorkese nella popolare piazza Nazionale, è netto: «La pizza di Briatore non è una pizza napoletana, è una pizza che fa status. È la pizza dei ricchi. Il suo è solo marketing, una trovata pubblicitaria. Che poi, nei suoi locali serva una Margherita o una Marinara, non c’entra. Il suo prezzo non è determinato dagli ingredienti o dal piatto che viene servito a tavola, ma dal fatto che si sta cenando in quel contenitore lì».
«Non si dica – incalza Paolo Surace, titolare della pizzeria storica Mattozzi in piazza Carità – che a Napoli si utilizzano prodotti di scarsa qualità. Perché sulla pizza ormai non ce ne sono più. Da nessuna parte. La questione sul prezzo non è questa. E non ci stiamo. Perché a Napoli si mangia, con meno, una pizza di grande tradizione e altissima qualità. Come per tutte le attività, il prezzo deriva da tanti costi: ubicazione del locale, che determina costi di fitto, ammortamento dei beni, personale».
Secco, infine, il commento di Antonio Starita, a Materdei, che da più di cento anni è «ambasciatore» della pizza napoletana nel mondo: «Briatore non è un pizzaiolo. Perciò non va considerato come tale: si fa semplicemente pubblicità utilizzando la pizza».