di Alfonso Piscopo

All’interno dell’economia domestica la spesa ittica influisce in maniera non indifferente; un trend rilevatosi tra l’altro in continua crescita nelle famiglie italiane, secondo i dati Istat riferiti all’ultimo quinquennio. Il consumo pro capite annuo è di 28 chili, contro la media europea che si attesta intorno ai 25 chili, con un incremento da circa un ventennio a questa parte del 2% l’anno.

Una grossa fetta di mercato è occupata dai crostacei (aragoste, astici, scampi, granchi, canocchie, granseole, favolli, gamberetti, gamberi e gamberoni, ecc…), ricchi di proprietà nutritive e stuzzicanti a tavola.

Come per tutti i cibi, si deve tenere conto dell’incidenza sulla nostra salute del loro consumo. I crostacei sono infatti esposti a diversi contaminanti: i metalli pesanti sono quelli più presenti e ciò dipende dal forte tasso di inquinamento delle zone areali per immissione diretta o indiretta di scarichi industriali o in via accidentale da scarichi derivanti dall’utilizzazione agronomica (cattiva gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuali, acque reflue provenienti da aziende agricole e agroalimentari, ecc…).

Tra i metalli pesanti da tenere in particolare considerazione c’è il cadmio (di seguito indicato con il simbolo Cd). Gli ioni Cd nelle acque di mare condensano, formando dei complessi stabili con gli ioni cloro. Il Cd viene trasferito dai sedimenti e si concentra specialmente nel fitoplancton, nelle macrofite e quindi nei crostacei, nei molluschi e in altri pesci.

Diversi lavori sull’accumulo del Cd nei crostacei sono già stati pubblicati: questo vuole mettere in evidenza come il bioaccumulo del Cd in alcune parti anatomiche di gamberi e gamberoni (testa o carapace, dette anche “carni scure”) possa raggiungere quantitativi elevati ed è quindi da chiedersi se ciò può comportare qualche rischio per la salute pubblica, soprattutto per alcune fasce di età.

Impatto inquinante ambientale/alimentare

Il Cd origina da fonti naturali e, come accennato, anche l’uomo fa la sua parte (inquinamento atmosferico, fertilizzanti fosfatici, fanghi di depurazione, ecc…). Possiamo quindi affermare che la popolazione è esposta al Cd da più fonti, tra cui ad esempio il fumo (consumo di tabacco), anche se la fonte principale di esposizione è rappresentata dal cibo. La Commissione europea ha richiesto al gruppo di esperti scientifici sui contaminanti della catena alimentare (CONTAM) di valutarne i rischi per la salute umana connessi alla presenza di Cd negli alimenti. L’esposizione al Cd attraverso la dieta è stata valutata utilizzando i dati riportati dall’EFSA sia in termini di consumo che di frequenza.

Le categorie di alimenti maggiormente esposti al Cd per via del loro elevato consumo sono: cereali e derivati, verdure, noci e legumi, radici amilacee o patate, carne, alghe marine, pesce e frutti di mare, cioccolato e alimenti per diete specifiche.

Dalle prove scientifiche il Cd risulta cancerogeno nell’uomo a causa gli effetti tossici dovuti ad una esposizione prolungata, con ripercussioni a livello renale (disfunzione), per la sua capacità di accumularsi a livello del tubulo prossimale. Si accumula anche nel fegato e nei reni con un’emivita di 10-30 anni.

Nonostante il potenziale cancerogeno istituito nel 1993 dallo IARC (agente di categoria 1), il Cd non è considerato pericoloso, ma il comitato scientifico degli alimenti della Commissione europea (SCF) ha rimarcato l’influenza della dieta sull’esposizione globale del Cd, incoraggiando i partners europei ad attuare azioni mirate alla riduzione dell’esposizione al Cd di natura alimentare.

I livelli massimi di assunzione tollerabili per settimana (TSI) stabiliti dall’agenzia EFSA, sulla base di una valutazione tossicologica completa di Cd sono di 2,5 µg/kg di peso corporeo. Sul fronte legislativo l’UE, nel Reg. 1881/2006, considera i limiti massimi per il Cd e altri contaminanti negli alimenti come misura di gestione efficace per ridurre l’esposizione nella popolazione generale. Questi limiti massimi sono soggetti a revisione periodica sulla base dell’esaminazione delle prove scientifiche.

Oltre a stabilire i limiti massimi, la Commissione ha pubblicato la Raccomandazione 2014/193/UE sulla riduzione del Cd nei prodotti alimentari attraverso misure di mitigazione in aree diverse.

Gli Stati Membri partecipano attivamente al monitoraggio periodico di queste misure. Inoltre, è stata pubblicata la Raccomandazione (UE) 2018/464 relativa al controllo dei metalli e dello iodio nelle alghe marine, nelle piante alofile e nei prodotti a base di alghe marine. Nella stessa si raccomanda di controllare la presenza di arsenico, Cd, iodio, piombo e mercurio per il triennio 2018/2020.

Un nuovo regolamento europeo sui fertilizzanti entrerà in vigore nel 2022 con lo scopo di armonizzare l’attuale normativa; la novità consiste nell’abbassare il limite di Cd consentito nei fertilizzanti (si parla di 60 milligrammi per chilo).

Infine, la AECOSAN (Agenzia Spagnola per gli affari dei consumatori, la sicurezza alimentare e la nutrizione) ha pubblicato una raccomandazione su base nazionale relativa al consumo di crostacei per ridurre l’esposizione al Cd, rivolta ai consumatori abituali e per fasce di età. La raccomandazione riguarda specificatamente la limitazione di “carne scura” situata nella testa dei crostacei. La testa è molto utilizzata dai consumatori spagnoli e si caratterizza per un’alta percentuale di Cd rispetto alla “carne bianca” delle appendici.

Le “carni scure” dei crostacei

Le “carni bianche” dei crostacei sono la parte edibile per eccellenza e possono essere consumate senza alcun problema, poiché il bioaccumulo di Cd nella parte centrale del corpo di gamberi e gamberoni (l’addome) o delle appendici non desta preoccupazione: come dimostrato dall’esito delle campionature effettuate, siamo al di sotto dei livelli massimi di assunzione tollerabili per settimana (TSI) e a queste dosi il Cd viene facilmente espulso.

Per quanto riguarda invece le “carni scure” — anche se a rigor di logica non dovrebbero essere definite propriamente “carni”, ma sarebbe più consono definirle “contenuti o succhi delle teste” —, si parla di bioaccumulo di Cd in quanto alti livelli del metallo tendono ad accumularsi nelle aree del fegato e dei reni situate nella testa. L’epatopancreas assorbe il Cd dalle crutacee del fondo marino, che a sua volta accumula i metalli riversati in mare sia per via accidentale o naturale.

Prima del 2009 erano consigliate assunzioni settimanali massime di Cd di 7 µg/kg di peso corporeo; successivamente, visto l’alto tasso di inquinamento ambientale/alimentare, tale limite è stato rivisto scendendo a 2,5 µg/kg alla settimana (EFSA).

Chi ama i crostacei, sa che le teste e i succhi in esse contenuti rappresentano una delle parti più saporite: l’abitudine di succhiare le teste potrebbe però esporre un consumatore abituale ad un superamento dei limiti di accettabilità.

In cucina, inoltre, sono comuni le preparazioni di sughi o zuppe che hanno come base le teste di crostacei. La più nota è sicuramente la “bisque”, preparazione che serve ad insaporire i piatti di pesce.

Bambini, vegetariani (consumo di amilacee), fumatori, neuropatici e consumatori abituali di crostacei interi sono i gruppi di popolazione maggiormente esposti ai rischi derivanti dall’assunzione di cibi contaminati da elevati livelli di Cd, ma la raccomandazione di limitarne i consumi riguarda tutte le fasce di età, soprattutto se il consumo è eccessivo e prolungato nel tempo.

Per fare un esempio, se un individuo succhia le teste di mezzo chilo di gamberetti o di gamberoni, presumibilmente ingerisce 0,25 mg di Cd, quantitativo leggermente superiore ai livelli massimi tollerabili settimanalmente (TSI). Le prime conseguenze potrebbero essere diarrea e vomito e non di più, mentre un consumo eccessivo abituale poterebbe a superare ripetutamente il TSI, con possibile compromissione renale e demineralizzazione ossea.

Conclusioni

Già in passato le “carni scure” dei crostacei erano state additate come bioaccumulatori di Cd. La Spagna, recentemente, ha nuovamente lanciato l’allarme a non esporsi a consumi eccessivi, con particolare attenzione ai bambini.

L’Italia, nel 2011, ha pubblicato una nota informativa sui livelli di Cd nella “carne scura di granchio” (si veda “Consumo di carne scura di granchio: rischio cadmio”, in Il Pesce n. 6/2011, pag. 87). Nella nota, che richiama il Regolamento UE 420/2011, è ribadito che i granchi e granchi simili possono contenere elevate quantità di Cd e in particolare le “carni scure” in cui è situato l’epatopancreas, che accumula la maggior parte del Cd. Al contrario, le “carni bianche” (zampe e chele), presentano generalmente livelli non significativi di Cd e quindi possono essere consumati con sicurezza.

Ci si attende dall’Unione Europea e dagli Stati Membri una maggiore attenzione al problema del bioaccumulo di Cd, senza con ciò volere creare scenari allarmistici.

Dott. Alfonso Piscopo

Dirigente Veterinario Azienda Sanitaria Provinciale Agrigento

Nota

“Gamberi, gamberetti e, gamberoni, scampi e granchi, spendi molto e poco mangi”. Questo proverbio siciliano ritorna ogni qual volta a tavola si deve decidere il menù per i commensali: “a base di carne” o a “base di pesce”? Se si opta per la seconda scelta, c’è sempre qualcuno che cita lo scioglilingua, rimarcando come un pasto a base di pesce, pur eguagliando in qualità e in misura uno a base di carne, rischia di non saziare abbastanza, per via delle parti che necessariamente devono essere scartate come le lische, i gusci, le teste, ecc…

Bibliografia

La bibliografia è disponibile richiedendola all’autore o alla Redazione.

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