La denatalità e una diversa concezione della genitorialità sono legate allo sviluppo e a nuovi stili di vita. Questo è il punto fondamentale. Dobbiamo fare i conti con nuovi bisogni, creando condizioni diverse da quelle di un tempo, per rendere possibile la realizzazione di un desiderio genitoriale”. Lo ha detto la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Maria Roccella, intervenendo oggi all’incontro dal titolo ‘Sostenere la natalità: le sfide per la comunicazione’, promosso dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (ALMED) e dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari (ALTEMS) dell’Università Cattolica, con il contributo incondizionato di Farmindustria. L’evento è in corso a Roma, presso Palazzo Baldassini.

La prima cosa sbagliata sulla natalità, la più diffusa- ha spiegato- è che sia legata a problemi di povertà. Sul piano individuale e di aree sociali è ovviamente legata anche a problemi economici, su cui il governo ha già cominciato ad intervenire, seppur con tutti i limiti di risorse che purtroppo abbiamo; ma in realtà la denatalità, in senso più ampio, è una sorta di accompagnamento allo sviluppo, cioè man mano che i Paesi escono fuori da condizioni di sottosviluppo decresce la natalità”. Questo è accaduto “anche nel nostro Paese- ha proseguito Roccella- noi, come diciamo spesso, facevamo più figli sotto le bombe di quelli che facciamo adesso, che ci troviamo invece in una condizione di benessere e di welfare diffuso, articolato, anche se non in grado di dare tutte le risposte. Questo vale a livello internazionale: tutta l’Europa è sotto il famoso tasso di sostituzione, cioè due figli per donna, e si vede soprattutto nel mondo asiatico. Basta pensare al Giappone o alla Corea in particolare, che in 20 anni è passata da circa sei figli per donna ad uno. Questo proprio perché ha avuto uno sviluppo galoppante, molto veloce e intenso”.

ROCCELLA: “MATERNITÀ SPAVENTA RAGAZZE, MA NON SONO SOLE”

“L’alfabetizzazione sanitaria può incidere sulla considerazione della fertilità e in generale sulla maternità, perché oggi alle ragazze che non hanno esperienza di bambini bisogna far sapere che non sono sole, che quando anche vogliono essere madri possono essere accompagnate. Perché la maternità fa paura, fa paura il parto, per esempio, che oggi non è più considerato un evento scontato e naturale nella vita delle donne ma viene visto con timore, come qualcosa che non fa parte del percorso naturale della vita e che mette un po’ di ansia”, ha sottolineato Roccella.

“L’alfabetizzazione sanitaria è importante, allora, da una parte sul fronte dell’accompagnamento- ha proseguito Roccella- per cui abbiamo pensato ad alcune soluzioni che stiamo mettendo in campo, come per esempio l’assistente materna, figura peraltro già presente in altri Paesi; ma dobbiamo anche diffondere la comunicazione su tutto questo in maniera diversa, ricordando che la maternità e la genitorialità sono fatti naturali, che noi certo medicalizziamo perché abbiamo un Servizio sanitario nazionale notevole, efficienti ed inclusivo, ma che in realtà richiede soprattutto consapevolezza della donna. Ecco, l’alfabetizzazione sanitaria è anche un fatto di empowerment, di capacità di gestire la propria salute anche in proprio, ovviamente non autonomamente, ma sapendo come muoversi, di cosa si tratta e a chi rivolgersi”.Roccella ha infine ricordato che l’Europa sta “molto battendo sull’alfabetizzazione sanitaria” e che “noi come ministero abbiamo già fatto con il Consiglio d’Europa un progetto su questo, che però riguarda le discriminazioni di rom e sinti, che hanno un problema di donazioni del sangue”, ha concluso.

ROCCELLA: “DONNE DESIDERANO ANCORA 2 FIGLI, MA POI NON LI FANNO”

“Dobbiamo creare condizioni diverse da quelle di un tempo per rendere possibile la realizzazione del desiderio genitoriale- ha sostenuto Roccella- . Questo perché il desiderio di maternità, in particolare, non è cambiato: oggi le donne, quando vengono interrogate sul tema, dicono ancora di volere due figli. Ma poi questi due figli spesso non si fanno”

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