Trentaduemila uomini in un gruppo Facebook con foto rubate di mogli e fidanzate è una vetrina dell’intimità violata. Meta ha rimosso il gruppo dopo le varie denunce, ma il caso riapre il dibattito sulla virilità tossica e la cultura del controllo. “Erano mogli, non modelle: nessuna sapeva”.
Scatti rubati in casa, in cucina, mentre si cambiavano, dormivano, o semplicemente vivevano. La domanda che accompagnava quei post era sempre la stessa: “Cosa le faresti?”, “Che voto le dai?” La notizia è emersa grazie alla denuncia pubblica di due realtà attive contro la violenza di genere su Instagram, @nojusticenopeace_italy e @lhascrittounafemmina, account curato dalla scrittrice e attivista Carolina Capria. La segnalazione ha provocato un’immediata ondata di indignazione sul web, spingendo Meta a rimuovere il gruppo e a rilasciare una dichiarazione ufficiale: “Non consentiamo contenuti che minacciano o promuovono violenza sessuale, abusi sessuali o sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme.” Ma la questione non può dirsi chiusa. L’esistenza stessa di questo spazio digitale, frequentato da decine di migliaia di uomini, impone una riflessione più profonda.
A inquietare non è solo l’esistenza del gruppo, ma il numero dei suoi partecipanti. Trentaduemila uomini, non un gruppo marginale. Una massa. Una comunità. E allora la domanda si impone: che cosa spinge migliaia di uomini a partecipare a queste dinamiche? Secondo molte analisi esperte, il fenomeno si alimenta attraverso più fattori come il piacere del controllo: l’eccitazione non nasce dal desiderio, ma dalla sensazione di potere. Fotografare una compagna e “condividerla” diventa un atto di dominio, più che di passione. La dinamica del branco: l’ambiente di gruppo legittima e amplifica l’atto. Il branco virtuale riduce l’empatia e la responsabilità individuale. L’educazione alla virilità: nella cultura patriarcale, l’identità maschile si costruisce spesso attraverso il possesso, la conquista, la dimostrazione agli altri maschi. L’intimità si trasforma in merce da esibire. L’impunità percepita del web: dietro un profilo anonimo, le barriere etiche crollano. L’assenza di conseguenze visibili favorisce la reiterazione.
Le vittime, in questo caso, non sono solo le donne ritratte nelle immagini, ma anche la fiducia tradita, la sicurezza della sfera domestica, la libertà del corpo. La violazione non è solo fisica o sessuale: è esistenziale. Molte donne potrebbero non sapere ancora di essere state esposte in quel modo.
Al momento non si conoscono dettagli ufficiali su eventuali indagini in corso. Ma è probabile che, come in altri casi analoghi, anche questo episodio resti giuridicamente difficile da perseguire, poiché non tutte le immagini rientrano nella definizione di “contenuto sessualmente esplicito” prevista dalla legge sul revenge porn.
A chi dice che “non c’è stata violenza”, serve ricordare che la violenza non è solo fisica. La violenza è anche rendere invisibile la volontà dell’altro, sfruttare la fiducia, tradire l’intimità.
E che fare tutto questo a chi si dice di amare, è forse la forma più perversa di tutte.
Natalia Bandiera
Vergogna su Facebook: 31mila uomini “condividono” le mogli come oggetti umiliandole
