di Federico Piazza

Abbigliamento, calzature e pelle sono tra i comparti retail che più stanno soffrendo. Lo conferma l’Osservatorio Economico-Occupazionale di Confcommercio Vicenza sull’andamento nel primo semestre 2025 di un campione di 300 aziende del commercio, turismo e servizi della provincia. La questione del resto non è congiunturale ma strutturale. Non a caso, da anni il numero di imprese attive nella vendita al dettaglio di articoli di abbigliamento, di calzature e di articoli in pelle in esercizi specializzati si sta riducendo in provincia a un ritmo doppio rispetto alla media dell’intero dettaglio (dal 2019 al 2024: sedi d’impresa registrate -18,2% e localizzazioni -14,6% per codici Ateco 477, 4771 e 4772 vs rispettivamente -9,3% e -6,2% per la totalità codice Ateco 47 – elaborazione Camera di Commercio di Vicenza su dati Infocamere).
I cambiamenti demografici, culturali ed economici in corso e l’abnorme crescita dopo il Covid dell’e-commerce e del fenomeno della fast fashion stanno profondamente cambiando la propensione, le abitudini e le modalità di spesa di fasce sempre più ampie di consumatori. Ma secondo Ivo Volpon, presidente di Federmoda Confcommercio Vicenza con oltre cinquant’anni di esperienza nella vendita di abbigliamento, i negozi di moda hanno comunque un futuro. A patto di sapersi trasformare, facendo un salto di qualità come offerta distintiva e come servizio consulenziale per i clienti.
«Chi compra on line si copre, mentre chi viene ad acquistare in negozio si veste», sentenzia Volpon. «Quindi è ora di finirla di lamentarsi della concorrenza dell’e-commerce, che c’era dieci anni fa e ci sarà fra vent’anni. Anche i negozi di vicinato e del centro ci saranno ancora fra vent’anni. La nostra strada è quella che coniuga l’offerta di prodotti distintivi di qualità e consulenza d’immagine per il cliente, perché chi entra in un negozio di moda ha bisogno di essere consigliato e vuole trovare un assortimento diverso da quello che trova on line».
L’aggiornamento passa inevitabilmente attraverso la formazione. «Confcommercio – sottolinea Volpon – sta facendo corsi finanziati sulla vendita per il personale dei negozi di moda, quindi gratuiti, e chi ne ha fruito trae buoni risultati. Inoltre, serve formazione sull’utilizzo dei social per la comunicazione». Perché, anche se si decide di non sviluppare un canale di vendita on line parallelo a quello fisico, il web va comunque presidiato con costanza per farsi conoscere e per fidelizzare la clientela aggiornandola sulle novità.

Nell’Alto Vicentino, per esempio, due negozi di abbigliamento di fascia medio-alta molto attivi nella comunicazione sulle piattaforme social sono Bianco a Thiene e Mi Wa’ a Schio.
Antonella Bianco, titolare dal 2001 assieme alla sorella Alessandra del negozio di via Trieste, si è inventata l’appuntamento settimanale La Rubrica di Antonella con foto e video su Instagram, Facebook e Tik Tok: «All’inizio i social li curava mia nipote, che dieci mesi fa si è trasferita in America. Allora io e mia sorella abbiamo imparato a fare tutto da noi: lei fa da videomaker mentre io mostro le novità assieme ad alcune ragazze e a un ragazzo che fanno da modelli». Per Antonella Bianco la moda è una passione: «Ho iniziato a lavorare come commessa da giovanissima. Poi nel 2001 ho avviato questo negozio assieme ad Alessandra, che ha portato la sua esperienza nel campo dei tessuti maturata occupandosi di controllo qualità in un lanificio. Possiamo dire – affermano le due sorelle – che quello che cerca la nostra clientela, uomini e donne da tutta la provincia, non è tanto il marchio in sé quanto l’abbinamento di capi che si riesce a fare. Per questo fondamentale è la vendita in presenza, supportata da esperienza e gusto. Certamente va per la maggiore la sartoria italiana, con design, manifattura e tessuti di alto livello. Ma per distinguersi occorre ricercare prodotti su cui nelle offerte on line c’è poca concorrenza».
Il negozio di abbigliamento, calzature e pelletteria donna Mi Wa’ al Centro Commerciale Campo Romano è stato fondato tredici anni fa da Monica Buja, che oggi gestisce l’attività assieme a Laura Vivian. La svolta social nella comunicazione è partita con il lockdown Covid nel 2020. «Ho iniziato a collaborare con Monica cinque anni fa come modella per le foto e le dirette in negozio che pubblicavamo sui social – racconta Vivian – e poi sono diventata socia. La base è su Instagram e siamo anche su Facebook. Meno su TikTok, perché ci rivolgiamo a clienti dai 25-30 anni in su, con capi per tutte le taglie e per diversi range di budget. Si tratta di clientela in gran parte affezionata dell’Alto Vicentino». Importante ovviamente è il passaparola, mentre sono calate le vendite a persone di passaggio nel centro commerciale. «Abbiamo delle clienti – spiega Vivian – che dopo aver acquistato on line altrove si rendono conto che ciò che ricevono a casa non è quello che hanno visto negli e-store. Così abbiamo cominciato a proporre nei social gli abiti indossati da me e da Monica, che abbiamo taglie e stili diversi, per far vedere come vestono. Essere attive sui social è quindi molto importante per noi, abbiamo fatto anche dei corsi di formazione e riusciamo a curarli da sole».
Convinto sostenitore dell’esigenza di fare un salto di qualità nella comunicazione on line dei negozi di vicinato e del centro è Guido Xoccato, storico presidente di Ascom Schio e titolare dell’omonimo negozio di calzature in via Pasubio. Che però, oltre a considerare fondamentali i social («chi non è attivo su questi canali è meglio che chiuda»), invita i piccoli esercenti ad affiancare la vendita on line a quella in presenza in negozio. «Io ho quasi 70 anni e la mia attività commerciale non va verso un ricambio generazionale, come del resto molte altre. Purtroppo. Ma se avessi 50 anni, attiverei anche un sito di e-commerce». Per Xoccato in ogni caso la fisicità del negozio rimane centrale per la vitalità urbana e per evitare la desertificazione dei centri storici: «Per esempio, credo che sia un errore da parte dei commercianti non aprire i negozi quando si organizzano eventi serali in città, anche se questo non comporta sempre vendite immediate. Ed è un errore anche non tenere le vetrine illuminate, perché il buio allontana le persone dal centro e aumenta la percezione di insicurezza. Il concetto è che il negozio non va visto solo come punto vendita, ma anche come punto di socialità. E socialità significa essere un presidio: noi commercianti dobbiamo far capire che i nostri negozi offrono anche la possibilità di fare una chiacchiera, di ricevere informazioni o di chiedere aiuto se serve. In definitiva – chiosa Xoccato – le nostre attività contribuiscono a far vivere i nostri borghi e ad evitare che diventino delle città fantasma spogliate della loro identità culturale e storica».

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