di Marco Zorzi
Il trionfo di chi non vota: è questo il rischio concreto e palpabile che riscontri nel salotto buono tanto quanto nell’androne condominiale della signora Maria. Tardi per rimediare, ma non per provare ad accampare due modeste riflessioni.
Intervistato da Giovanni Minoli nel lontano 1984, il compianto Avvocato Gianni Agnelli diceva: “Gli uomini si dividono in due categorie: gli uomini che parlano di donne e gli uomini che parlano con le donne. Io di donne preferisco non parlare”.
Ma questo con la campagna elettorale che si sta chiudendo cosa diavolo centra? Subito spiegato. Si può parlare dei problemi che affliggono il nostro paese e si può parlare con chi quei problemi li vive quotidianamente. Tradotto ancor più precisamente: si può e si dovrebbe allungare l’orecchio oltre quello che fa comodo sentire e calarsi nella realtà.
Ma andiamo indietro di un paio di mesi. Secondo il sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per Sky TG24 diffuso esattamente il 25 luglio, il 57,5% degli Italiani esprimeva un giudizio positivo sul governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi: dati che evidentemente poco hanno significato per quella politica che invece ha forzato gli eventi affinchè si arrivasse al capolinea e si aprisse la crisi che di fatto ha spalancato le porte alle elezioni di settembre.
Un altro esempio: gli italiani chiedono risposte concrete. Ma quanti conoscono i programmi dei partiti e quanto soprattutto i partiti realmente si impegnano a veicolare i loro programmi? L’Associazione onData, ha rivelato in un suo recentissimo report che il 75% dei programmi caricati sul sito del Ministero è in PDF – 23 su 30 – ma non ha il testo leggibile (contengono soltanto immagini); 6 programmi sono composti da meno di 3 pagine. Tre pagine per spiegare come governare una delle nazioni del G7. Ma non è tutto: alcuni dei programmi pubblicati sul sito del Ministero, sono già vecchi e superati. Ad esempio, sul sito governativo c’è pubblicato un programma di 15 pagine, mentre sul sito del partito – solitamente non in vista – ce n’è uno aggiornato da oltre 200.
Preoccupa infine l’astensione: si stima che l’affluenza potrebbe, prima volta nella storia repubblicana, scendere sotto il 70%. Se prendiamo il Veneto, su 3.742.527 aventi diritto al voto, sarebbero oltre 1milione e 100mila elettori quelli che potrebbero preferire una gita fuori porta. E usiamo il condizionale, ma solo più per forma che per convinzione.
Del resto, basta osservare i pannelli elettorali senza manifesti per capire che i tempi sono cambiati e questo anche la politica più sorda l’ha capito: salvo poi non trarne poi le debite conclusioni. Chiunque sarà chiamato alla responsabilità di governo sa che non sarà una passeggiata: che esiste un tempo per gli slogan acchiappa consensi e uno per piegare il capo di fronte alla realpolitik. Che esiste un tempo per le ‘mance’ elettorali con larghe promesse di un fisco particolarmente amico e un tempo in cui per salvare i conti , occorrerà tagliare sui servizi in mancanza di soluzioni alternative. Che c’è un tempo per ricevere i fondi del Pnrr e un tempo per restituirli, almeno in parte. E se quelle risorse sono state ben investite, almeno ne sarà valsa la pena: perchè non è lontano il tempo in cui con quei denari si ipotizzava per l’ennesima volta il ponte sullo Stretto o, quasi peggio, una gestione da spartire tra gli amici del potente di turno anche in assenza di progetti significativi.
Rimane per questo cruciale lo strumento del voto: al netto di ogni facile frase fatta e di tante ipocrisie, ma votare è una delle poche armi che ci resta. L’unica che ci dà il diritto di lamentarci, se insoddisfatti. Diceva Abraham Lincoln: “Le elezioni appartengono alla gente. È una loro decisione. Se decidono di voltare le spalle al fuoco e bruciarsi il sedere, poi dovranno semplicemente sedersi sulle loro vesciche”.