“Dopo più di quarant’anni, finalmente, qualcosa si sta muovendo per normare l’attribuzione del cognome materno. Negli anni molte donne e coppie si sono battute per questo riconoscimento di diritto e soltanto con la sentenza 286 del 2016 si è introdotta la possibilità di affiancare al cognome paterno anche quello materno, previo accordo di entrambi i genitori. Ma perché la legge sul cognome materno rappresenta una questione non solo formale, ma assolutamente sostanziale?”. A scrivere per DireDonne questo approfondimento dedicato al ‘cognome materno’ è la giornalista Raffaella Sirena che due anni fa ha scelto insieme al suo compagno, come racconta, “di dare a nostra figlia anche il mio cognome”, “una questione di vera eguaglianza” che pure fa fatica ad essere ‘letta’ in questa direzione, come spiega.

“Mi è capitato- scrive Sirena- di dover motivare questa scelta ad altre persone, tra cui donne, che hanno liquidato questa cosa come un vezzo poco rilevante. Mi sono domandata come mai non ne riconoscessero l’importanza o si sentissero addirittura minacciate da una opzione aggiuntiva. Perché di fronte al riconoscimento di diritti (che in genere sono espressione di un sentire individuale, che poi diventa plurale) c’è sempre qualcuno o qualcuna che chiosa con un ‘comunque le cose urgenti sono ben altre’?”. Proprio per fare chiarezza Raffaella Sirena, che si occupa di questioni di genere, ha chiesto il contributo di un’autorevole giurista che è anche la presidente della Rete per la Parità, associazione che promuove iniziative per rendere effettiva la parità di genere e sostenere la consapevolezza sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo.

IL COMMENTO DELLA GIURISTA DE CONCILIIS

Rosanna Oliva de Conciliis– scrive la giornalista- è una donna che nella sua storia personale e professionale vanta il merito di aver vinto nel 1960 il ricorso presso la Corte Costituzionale per essere ammessa al concorso per la carriera prefettizia, da diversi anni si batte per una legislazione che superi il vincolo patrilineare”.

“In queste settimane si sta lavorando per l’approvazione da parte del Parlamento di una riforma del cognome- afferma Rosanna Oliva de Conciliis, Rete per la Parità- che nonostante sia stata definita indifferibile non è ancora attuata. La Corte costituzionale ha introdotto nel codice civile la modifica che ha aperto la strada affinché si legiferasse su questa materia e si attuasse una concreta ed organica trasformazione, ma dopo più di cinque anni ancora è tutto fermo. Nel frattempo, la Consulta a fronte di un altro ricorso presentato da due genitori che non hanno potuto far attribuire alla figlia il solo cognome materno, ha deciso di esaminare la legittimità di tutte le disposizioni riguardanti l’attribuzione del cognome. La trattazione della questione è prevista per il prossimo 27 aprile. Tuttavia, a seguito delle pressioni di associazioni e di personalità della politica, finalmente lo scorso 15 febbraio è iniziato l’esame nella Commissione Giustizia del Senato dei sei disegni di legge finora presentati”.

Prosegue Oliva de Conciliis: “Il momento è importante per definire gli scenari futuri, basta pensare alle disposizioni che è necessario vengano introdotte per lasciare aperta l’eventualità di trasferire solo una parte del doppio cognome nel caso dei figli nati da genitori che presentano un doppio cognome. Con riguardo alle generazioni future la riforma non è più procrastinabile. Non si può restare senza indicazioni e chiarimenti validi per tutte le situazioni e bisogna colmare il vuoto normativo che esiste in alcune fattispecie. I problemi aperti sono numerosi, a partire dal lasciare o meno la scelta del doppio cognome ai genitori. Nell’ipotesi del criterio della scelta ci allontaneremmo dal principio costituzionale della tutela dell’identità personale perché la tracciabilità di entrambe le origini, materna e paterna, dipenderebbe dalla decisione concorde e s’innoverebbe ben poco rispetto a una tradizione millenaria. Ai genitori va lasciata la scelta condivisa dell’ordine dei cognomi, se diversa da quella in ordine alfabetico, e anche quella dell’eventuale attribuzione di uno solo dei due cognomi. Il Parlamento è chiamato ad approvare una legge di riforma che non sia gattopardesca”.

IL CAMMINO DELLA LEGGE

“Al Senato- scrive Sirena- si prosegue con i lavori e sono previste anche audizioni, fatto che induce a sperare che presto si arrivi a un testo unificato e si metta fine all’inerzia parlamentare, considerato che la prima proposta di legge risale al 1979. C’è da dire che qualche anno prima, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, le donne italiane hanno ottenuto dei riconoscimenti, almeno come mogli, ma da allora sono rimaste invisibili come madri se non possono trasmettere il proprio cognome. Con la sentenza si è aperto uno spiraglio, senza dubbio, però se i genitori non sono informati o sono in disaccordo e non richiedono l’aggiunta del cognome materno, in automatico all’anagrafe la registrazione avviene con il solo cognome del padre“.

Conclude la giurista: “La futura riforma deve anche modificare le attuali regole sul cognome della donna coniugata che sono la rappresentazione di una residua potestà maritale nel nostro sistema, in aperta violazione del principio di uguaglianza tra i coniugi. Si tratta di seguire il mutamento della società, come dimostrato dal fatto che tale norma non si applica alle unioni civili, per le quali la legge n. 76/2016 all’art. 1, comma 10, prevede che le parti possono stabilire, per la durata dell’unione, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, anche anteponendo o posponendo il proprio cognome se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile”.

“Oltre a rivendicare l’abbattimento delle diseguaglianze, in aggiunta alle rose– conclude Raffaella Sirena- noi donne vogliamo anche il cognome e non è una velleità“.

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