di Giordana Ruzzolini

La pandemia prima e l’immigrazione incontrollata poi (di cui è tutt’oggi vittima il nostro paese) sommata al fallimento del sistema sanitario pubblico, ha portato alla ribalta il tema del diritto alla salute.

Quello che sembrava essere baluardo inespugnabile della nostra democrazia è crollato, di fronte alle nuove emergenze, come un castello di carta.

Inoltre, lo sviluppo compulsivo del web ha portato con sé la chimera che sia sufficiente un “click” per conoscere qualsiasi cosa (risparmiando, ai più, anni di studio e fatica) e ha determinato l’illusione, ancora più pericolosa, che tutti possono dire tutto anche senza sapere nulla.

In un calderone di dati convulsi e confusi, i diritti sono tornati di gran moda e sulla bocca di tutti. Espressioni come diritto alla salute, diritto alla libertà personale, diritto alla vita sono stati abusati, violentati, brutalizzati.

Oggi, proprio a causa dell’immigrazione incontrollata si pone la questione se il diritto alla salute sia prerogativa dei cittadini o riguardi ogni individuo, anche straniero, anche irregolare.

In questo scenario, dove la cattiva informazione ha prepotentemente spodestato l’informazione, è doveroso fare chiarezza.

Il diritto alla salute è riconosciuto dall’articolo 32 della Costituzione che lo eleva a diritto fondamentale dell’individuo. È inteso in una duplice accezione. Da un lato è il diritto ad accedere a cure pubbliche e gratuite, dall’altro a non essere sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori. Un obbligo in tal senso può esserci solo per disposizione di legge e a presidio di un interesse pubblico prevalente.

Il diritto alla salute non riguarda, quindi, i cittadini ma l’essere umano in quanto tale. È un diritto immanente alla persona umana, senza alcuna distinzione.

Ancora, la legge 833 del 1978 istitutiva del SSN (servizio sanitario nazionale) si fonda sui principi di uguaglianza, equità ed universalità. Mentre di facile intuizione è il significato dei termini uguaglianza ed equità, meno cristallino può apparire il concetto di universalità.

Il riferimento all’universalità esprime l’intenzione del legislatore di garantire a tutta la popolazione l’accesso alle prestazioni sanitarie. Secondo la visione del legislatore il diritto alla salute si eleva, da diritto individuale, a bene collettivo la cui tutela è nell’interesse dell’intera comunità.

Tuttavia è comprensibile questa tensione sociale perché in un sistema di sanità pubblica alla deriva dove il ricorso alla sanità privata (per chi può permetterselo) sembra essere l’unica chance, dove il diritto alla salute è diventato privilegio di pochi, dove la scelta che siamo chiamati a compiere sembra essere, come nei peggiori slogan, “o paghi o muori”, si ha la tentazione di guardare dalla parte sbagliata. Di confondere le vittime con i colpevoli. Così gli immigrati, soprattutto gli immigrati irregolari, che spesso fuggono da situazioni di atroce disumanità, vengono additati come coloro che ci privano di tutti i diritti da noi faticosamente conseguiti: diritto alla casa, diritto al lavoro, diritto alla salute. Ci si sente in diritto di scegliere tra “noi” e “loro”. Forse si chiama istinto di sopravvivenza o, forse, è un sistema ben congegnato che permette di distrarre dal vero problema e da chi ha portato al degrado dello stato sociale con tagli di spesa, speculazioni e partnership miliardarie.

Bisogna fare attenzione. Non dobbiamo confondere la salute con la sanità, il diritto alla salute con il diritto ad una buona ed efficiente sanità pubblica. La tentazione di cadere nella trappola è dietro l’angolo soprattutto per chi lotta quotidianamente con le falle di un sistema sanitario e con una burocrazia che ostacola la guarigione ancor più della malattia. Dobbiamo essere vigili perché il diritto alla salute deve essere patrimonio dell’umanità, non è togliendo agli altri che avremo di più ma solo rivendicando ciò che è di tutti eviteremo di avere di meno.

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