di Mattia Cecchini, agenzia Dire
È stata la settimana delle riaperture, della ripartenza; delle feste: dal 25 aprile all’1 maggio; e si torna pure in spiaggia. Eppure… Eppure, da Firenze è arrivata lunedì scorso una notizia che, come tante, è passata veloce, perché in fondo -in ‘questa’ settimana- è scomoda. Con una lettera i medici di Firenze hanno messo a confronto il lavoro nei reparti Covid e le piazze di nuovo piene di gente: “È quasi notte” e “stiamo cercando di salvare una donna di 50 anni” che “non riesce più a respirare. Le infiliamo il tubo lungo la trachea per farle arrivare l’ossigeno. Dopo ore la visiera è appannata per il sudore, ma non possiamo sbagliare nessuna manovra”… “il Covid e la polmonite le stanno togliendo la vita”. Chiama la figlia da casa, vuol sapere come sta. “Non possiamo mentire, ma non abbiamo una risposta“, lei insiste e sta in attesa, “è un lungo silenzio che fa male al cuore”. Si sente la sirena di un’ambulanza, due infermieri “avvolti nella plastica blu” corrono in una stanza dove un’altra paziente ha una crisi. Fuori “piazze stracolme di ragazzi e manifestanti, mascherine abbassate, bottiglie in mano, resse. Grandi risate”. E allora “diteci voi cosa dobbiamo fare. Qualcuno ci indichi la strada, perché come medici abbiamo sempre lavorato per curare una società che non vuole ammalarsi” mentre “è chiaro che ora le priorità sono cambiate o non si spiegherebbero le folle per le strade”. La tutela della salute è un dogma “confinato solo nei reparti ospedalieri” e “noi le parole le abbiamo finite”.
Cosa significa quando finiscono le parole? Che la realtà supera la fantasia. Che si resta a bocca aperta, non si sa più cosa dire. Cosa si risponde a questa lettera? L’hanno scritta gli ‘eroi del Covid’, quelli per i quali fino a poco tempo fa si sprecavano elogi, ringraziamenti e slanci di solidarietà…
Cos’è un eroe? L’autore di gesta straordinarie che riscuotono attenzione e hanno spesso una funzione fondativa delle comunità; colui che affronta la difficile realtà dell’esistenza. I medici sono stati definiti eroi perché parecchie di queste cose hanno dato l’idea di farle e ora ci dicono che gli stiamo voltando le spalle, che vale il chissenefrega.
Forse quegli eroi guardando dalla finestra si son sentiti traditi. È arrivata l’ora, capita in effetti con i supereroi (ma nei fumetti), in cui si voltano le spalle agli eroi: basta, si è aspettato e sopportato anche troppo, si è fatta la resistenza, non servono più gli eroi. Largo all’epica della ‘sana’ ribellione, della piccola auto-concessione rimandata da troppo, che cura lo spirito più delle mascherine. In fondo, si dirà, si dice, non c’è neanche una prova scientifica che il coprifuoco serva. È venuto il tempo di una narrazione diversa. Attenzione però: qui non è in discussione lo stare a teatro con la mascherina, le mani lavate e due poltrone vuote a destra e sinistra, o la cena sotto il dehors con il parente… I medici, infatti, non parlano di questo, ma del resto. Bologna domenica scorsa ha visto un rave illegale con 800 persone, un corteo in centro città bello fitto. Si scelga l’esempio che si preferisce ma la percezione è che il tappo è saltato: perso lo sci, non ci toglieranno movida e spiagge. Gli eroi tornino nei fumetti o nei loro reparti. Eppure, nel raccontare i reparti Covid non barano, non avrebbe senso farlo. Cosa sarebbe successo se avessero scritto molto prima di lunedì scorso? Se avessero alzato la voce nella prima ondata? Quanto avrebbero indignato o scosso?
I governatori predicano prudenza, i sindaci mettono transenne, si promettono multe e controlli, ma sembra di tappare la diga cadente con le mani. E qui c’è un primo problema, per la politica: trovare nuove (diverse?) forme, regole, risorse per arginare il liberi tutti. Forse più della classica multa avrebbe senso una pena rieducativa. Secondo, la lettera dei medici dice che serve una narrazione nuova della situazione per una fase nuova della situazione. Diceva in questi giorni l’ex ministro Cesare Damiano: “è l’epoca dell’egoismo, non della solidarietà, non c’è lo spirito del dopoguerra della ricostruzione, dell’unità nazionale, della solidarietà, ma del si salvi chi può”. Come fare? Intanto restare in ascolto: certi nemici non si combattono con la prova di forza, sennò si diventa come loro. E se è competizione tra desideri, possiamo almeno dirci che: “Il nostro desiderio deriva dalla ricerca di una grande unificazione, quando viene raggiunta si prova gioia. In fondo anche l’egoismo non è che tale bisogno. Ma il nostro spirito non si accontenta della unificazione del singolo. Poiché il nostro sé comprende gli altri, compare la simpatia, e nasce altruismo. Per questo proviamo serenità e gioia più grandi nell’altruismo che non nell’egoismo“.