Quando li ha giocati lui, i Mondiali erano un affare per sole 24 squadre. Eppure Roberto Baggio è riuscito a lasciare un segno così profondo da scuotere ancora oggi l’immaginario collettivo del calcio italiano. Tre edizioni vissute da protagonista assoluto — Italia ’90, USA ’94, Francia ’98 — e tre pagine che raccontano l’ascesa, la magia, la tragedia sportiva e la poesia di un campione irripetibile. A Italia ’90 incantò il Paese con due gol, uno alla Cecoslovacchia nella fase a gironi e uno all’Inghilterra nella finale per il terzo posto, “la partita che nessuno vorrebbe mai giocare”. Negli Stati Uniti, quattro anni dopo, fu leggenda pura: il miracolo contro la Nigeria, il gol allo scadere alla Spagna, la doppietta alla Bulgaria. E poi il rigore più ricordato della storia, quello finito alto nella finale contro il Brasile. A Francia ’98, ancora una volta, un soffio cambiò il destino: quel destro al volo uscito di un millimetro nei quarti contro i Bleus brucia ancora. Eppure oggi, a trent’anni da quei Mondiali, il “Divin Codino” torna a parlare come voce autorevole del nostro calcio. Lo fa durante la cerimonia dei sorteggi del Mundial 2026, ricordando un paradosso che nessun tifoso vorrebbe leggere: l’Italia non è ancora qualificata, nonostante l’allargamento a 48 partecipanti. La Nazionale di Gennaro Gattuso dovrà infatti superare il doppio spareggio dei playoff: il 26 marzo a Bergamo contro l’Irlanda del Nord, e il 31 marzo in trasferta contro la vincente di Galles–Bosnia. È in questo contesto che Baggio lancia il suo avvertimento, quasi un appello che parla di identità e responsabilità. “Mi auguro che ci sia la possibilità di rivedere l’Italia qui.
In America ci sono tanti connazionali che vivono, respirano e aspettano di rivedere l’Italia protagonista. Il mio desiderio è che i giocatori non deludano le aspettative di questa gente che ama l’Italia”, ha dichiarato ai microfoni della Fifa, ricordando quanto il legame emotivo tra la Nazionale e gli italiani all’estero sia ancora fortissimo. Poi il messaggio diretto ai leader del gruppo — Donnarumma, Barella, Bastoni — e allo stesso Gattuso: “Spero che tutti possano vivere quelle partite con la passione che avevamo noi, sapendo che non torneranno più. Ognuno dovrà dare il 100% per non avere rimpianti”. Parole che riecheggiano il suo stesso percorso, perché anche la sua Italia faticò per qualificarsi: nel 1994 una vittoria sofferta contro il Portogallo, nel 1998 lo spareggio drammatico con la Russia al San Paolo. Inevitabile, però, che gli intervistatori tirassero fuori il ricordo più doloroso, quello di Pasadena. Baggio non si nasconde, anzi lo affronta con la serenità di chi ha fatto pace con il proprio destino sportivo. “USA ’94 è stata un’esperienza indimenticabile. Un momento unico, fantastico. A parte l’atto finale, dove sono stato protagonista ma in modo negativo. Lo ricorderò per tutta la vita.” Dal passato al presente, il Divin Codino guarda anche all’evoluzione del calcio mondiale e applaude all’allargamento della fase finale, che raddoppierà il numero delle Nazionali presenti. “Credo sia un’opportunità molto importante. La cosa bella è che tante nuove squadre potranno far parte dell’evento.” Un’apertura che anticipa persino le discussioni sul futuro, dove si parla già di un Mondiale a 64 partecipanti. Il suo messaggio finale, però, rimane legato all’Italia. Alla necessità di ritrovare identità, fuoco, fame. Alla consapevolezza che un Mondiale senza gli Azzurri è un vuoto che pesa. E alla speranza che Donnarumma, Barella, Bastoni e tutti gli altri possano scendere in campo con quella stessa intensità che ha fatto grande un’intera generazione. Perché, come ricorda Baggio, ci sono milioni di italiani nel mondo che aspettano di rivedere l’Italia dove merita: al centro della scena.
V.R.
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