“Cento anni e finalmente non sentirli più”. C’è voluto l’amore a far scrollare di dosso a Livio Gemmo 100 anni di storia e la paura di non essere all’altezza dei big della famiglia, ma alla fine, dopo un sereno faccia a faccia con sé stesso, il salto in avanti è arrivato con facilità e l’imprenditore ora guarda con fiducia ai prossimi 100 anni.
Livio Gemmo, nato a Thiene nel 1973, i suoi 100 anni se li porta bene, con la testa alta, lo sguardo fiero e una giusta dose di gentilezza. E’ entrato nell’azienda di famiglia dopo il nonno fondatore, di cui porta orgogliosamente il nome e dopo il padre Giorgio, che si chiamava come il nipotino che sta per arrivare. A Thiene è l’unico ad avere festeggiato le 100 primavere dell’azienda, nata nel 1898, grazie alla tenacia e l’impegno del nonno elettricista.
Livio Gemmo, che cosa significa festeggiare 100 anni di impresa oggi?
Significa conoscere la propria storia, le proprie radici. Sapere da dove si è arrivati, ma sapersi anche proiettare nel futuro. La tecnologia ha fatto passi da gigante e noi abbiamo un’impresa che vive di tecnologia. Mio nonno ha iniziato come elettricista, all’epoca era una professione specialistica quanto qualche titolo di oggi.
Quando è nata l’azienda il mercato era libero…
Era il 1919, era appena finita la guerra. Il nonno ha avuto intuito. Ha saputo fare i passi giusti, gli investimenti giusti. Ha seguito lo sviluppo tecnologico. Ha formato ottimo personale. Oggi abbiamo un negozio specializzato in materiale elettrico che fornisce quello che non si trova in giro ed è una garanzia di lavoro se qualcuno si vuole specializzare. Poi in azienda facciamo quadri elettrici e cabine di trasformazione. Un segmento molto tecnico per cui ci vuole preparazione.
Com’è la situazione oggi?
Manca il personale specializzato, mancano la manodopera qualificata. Sono sicuro che gli operai guadagneranno un sacco di soldi nel prossimo futuro. Ricevo molti curricula, sono quasi tutti di professionisti, pochissimi di operai.
Dal punto di vista umano, cosa significa festeggiare 100 anni di azienda di famiglia?
E’ un traguardo incredibile. Quando sono entrato in azienda ero molto insicuro e mi mettevo sempre a confronto con il nonno fondatore e con mio padre Giorgio. Il nonno non l’ho conosciuto, ma vedevo entrambi come due uomini più grandi, più bravi, più sicuri di me. Sono figlio unico, non avevo altre persone a cui paragonarmi. Non è stato facile.
Il salto vero l’ha fatto quando è mancato il papà…
I miei collaboratori hanno fatto cerchio attorno a me. Io non ho l’esperienza che hanno loro e ne sono consapevole, mi sono lasciato consigliare. Ho il loro supporto, mi aiutano a non sbagliare.
Il primo giorno di lavoro?
Non mi considerava nessuno. Mi guardavo intorno chiedendomi cosa avrei dovuto fare e nessuno mi prendeva in considerazione. Dopo qualche giorno ho chiesto a mio padre cosa dovevo fare. Mi ha detto ‘osserva’. Per quanto?, ho chiesto io. ‘Almeno 10 anni’, mi ha risposto, lasciandomi interdetto.
Per tanto tempo mi sono sentito teso e non all’altezza. Tra l’altro giocavo anche a calcio e mi sentivo in competizione col nonno campione anche in quel settore.
Voleva essere bravissimo per non sfigurare?
Sì, anche all’università. Volevo prendere 30 o niente. Ora so che va bene anche un voto più basso. L’importante è finire.
E poi?
C’è un giorno preciso in cui sono cambiare le cose. Il 23 gennaio 2019 ho conosciuto la donna della mia vita. In un attimo ho capito che valevo io per quello che sono, che dovevo finirla di fare paragoni che non avevano senso. Ho ritrovato la fiducia in me stesso grazie all’amore, prima ero paralizzato dal timore di non farcela.
Qual è stato il filo conduttore dell’azienda in questi 100 anni?
Sicuramente la famiglia. La tecnologia passa, i muri crollano, le macchine si rompono. Ma è dura buttare giù una famiglia. Tecnologicamente qualche concorrente potrà anche battermi, ma noi garantiamo affidabilità assoluta.
Lei ha una grande propensione per i valori umani. Si vede, si sente…
Sono molto attaccato ai valori della mia famigli, sono una persona onesta. Sono stato cresciuto con il privilegio di poter osservare, il che significa guardare con la mente libera, senza interferenze di opinioni, solo i miei occhi e la mia testa. Un punto di partenza privilegiato e importantissimo. Sono anche un sognatore, ma del resto sono i sogni che alimentano la vita, il lavoro, le aziende.
Che cosa si aspetta dal prossimo futuro?
Intendo consolidare la coesione del mio gruppo, ma voglio anche aprirlo a nuove collaborazioni. Sono abituati al controllo totale ma oggi serve elasticità. Mio padre mi ha insegnato che siamo tutti uguali, non concepisco l’idea di incasellare le persone e la loro professionalità. E poi, quando si è liberi si rende molto di più.
C’è spazio per i giovani?
C’è spazio per chi vuole lavorare. Nel mio settore non ci sono posti di transito, serve formazione.
C’è differenza tra essere ‘figlio di’ ed essere un imprenditore?
Quando ero ‘figlio di’ ero terrorizzato dal non essere rispettato o giudicato per meriti miei. Avevo dubbi su come mi guardavano le persone, temevo i paragoni. Oggi sono libero, percepisco subito se la stima verso di me è vera o no. Ci sono solo io davanti. E’ molto meglio essere imprenditore.
Che cosa dirà a suo figlio se entrerà in azienda?
Gli trasmetterò il privilegio che ho avuto io. Gli dirò ‘Osserva, per almeno 10 anni’.
Anna Bianchini