A 95 anni, Don Antonio Mazzi affronta con rammarico l’impossibilità di partecipare di persona all’evento centrale della Giornata mondiale contro la droga, in programma domani a Roma, dove è previsto anche un incontro con Papa Francesco e con la Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche. Il fondatore della Comunità Exodus ha spiegato al Corriere della Sera di aver da poco lasciato l’ospedale, dove si era sottoposto a quello che definisce un piccolo “tagliando”: nulla di grave, ma sufficiente a impedirgli ogni spostamento. Una limitazione che non gli impedisce, però, di far sentire la propria voce.
Don Mazzi, veronese, è noto per il suo stile diretto, il suo spirito pratico e la sua indole appassionata. Piuttosto che lamentarsi, ha voluto riflettere pubblicamente sul significato della Giornata contro la droga, sull’impegno della sua comunità e sullo stato attuale del problema delle dipendenze.
Nel corso dell’intervista, il sacerdote ha scelto di partire da lontano, dal Madagascar, dove Exodus gestisce una struttura che accoglie circa 300 bambini e giovani. Ha sottolineato che la comunità non opera solo nella storica sede del parco Lambro di Milano, ma è presente anche in altri Paesi, come Honduras e Patagonia, con progetti educativi e terapeutici. L’idea, ha spiegato, è sempre stata quella di portare nel mondo un messaggio di liberazione, come indica lo stesso nome “Exodus”.
Ripercorrendo le origini del suo impegno, ha ricordato come tutto sia iniziato proprio nel parco Lambro, negli anni Ottanta, durante l’epidemia di eroina. All’epoca, quel luogo era simbolo del degrado: si incontravano giovani in condizioni disperate e famiglie alla ricerca dei propri figli. In quel contesto, ha ammesso, fu colto da un momento di scoraggiamento, pensando persino di lasciare tutto. Ma poi decise di restare, e partì per un viaggio in Europa per conoscere altre realtà. Tornato a Milano nel 1985, esattamente 40 anni fa, diede vita alla comunità Exodus, con l’idea di creare un movimento itinerante di liberazione.
Proprio in questi giorni, la carovana Exodus, partita dal Madagascar, sta attraversando l’Italia. A settembre si concluderà a Milano, dopo 5.000 chilometri di incontri, testimonianze e dibattiti. Don Mazzi ha espresso l’auspicio che la tappa romana, seppur senza la sua presenza fisica, non venga ridotta a una semplice passerella di parole e retorica. Ha dichiarato di non volere “due articoletti sui giornali” o l’ennesimo convegno con numeri aggiornati e proclami istituzionali. Per lui, la priorità è che si agisca con concretezza e che si dia spazio reale alla voce di chi vive ogni giorno la battaglia contro le dipendenze.
A questo proposito, ha rivelato un dato sorprendente: nelle sue comunità ci sarebbero posti liberi che non riesce a occupare, non per mancanza di giovani bisognosi, ma per via della burocrazia. A suo avviso, le regole e gli ostacoli normativi impediscono l’accesso alle strutture terapeutiche, proprio nel momento in cui bisognerebbe ampliarne la portata per rispondere all’aumento delle richieste. Ha denunciato che la politica, invece di snellire i processi, continua ad appesantirli con nuove norme che finiscono per essere più importanti delle persone.
A chi gli ha chiesto se si senta deluso o arrabbiato, Don Mazzi ha risposto con chiarezza: la Giornata contro la droga non può essere ridotta a un evento di poche ore. Ha parlato di un problema drammatico, aggravato dalla facilità con cui oggi si reperiscono le sostanze, dal nichilismo giovanile e da un diffuso disagio familiare spesso ignorato. Ha criticato la tendenza a minimizzare, a parlare tanto senza realmente affrontare i nodi cruciali. Secondo lui, ammettere gli errori del passato e del presente è scomodo, ma necessario. Altrimenti si continua a navigare a vista, facendo finta che tutto vada bene.
Con lucidità e fermezza, Don Mazzi ha rilanciato l’appello a non dimenticare le vite spezzate dalla droga, a dare spazio alle comunità terapeutiche e a mettere davvero al centro la persona, non la burocrazia. Il suo messaggio, anche se da lontano, resta potente e attuale: serve meno retorica e più coraggio per affrontare una delle emergenze più gravi del nostro tempo.
