Era la sera del 7 agosto 1990 quando in via Poma, nel quartiere Prati a Roma, in uno degli uffici degli Alberghi della Gioventù, viene trovato il corpo senza vita di Simonetta Cesaroni, 20 anni, segretaria addetta alla contabilità: è stata trovata nuda, con indosso solo il reggiseno abbassato, uccisa con 29 colpi di tagliacarte. Per quel delitto ancora oggi, a 35 anni di distanza, non c’è ancora un colpevole. Ci sono stati indagati e ci sono stati processo. ma anche colpi di scena, suicidi, e assoluzioni. L’ultima novità dirompente, arrivata nel dicembre 2024, è stata la decisione del gip di disporre nuovi accertamenti e rigettare la richiesta di archiviazione della Procura.
Quello di via Poma è un giallo rimasto per sempre irrisolto, per il quale negli anni sono stati sospettati (e poi scagionati) diversi colpevoli. Prima il portiere del palazzo di via Poma, Pietro Vanacore (fermato tre giorni dopo il delitto e rimasto quasi un mese in carcere), poi il datore di lavoro della ragazza e infine Raniero Busco, l’allora fidanzato della vittima, che è stato processato e assolto definitivamente nel 2014 dalla Corte di Cassazione (era stato invece condannato a 24 anni in primo grado nel 2011). A rendere questa vicenda contorta e clamorosa, a livello di opinione pubblica, è stato anche il suicidio di Pietro Vanacore, il portiere accusato ma poi scagionato, che avvenne nel 2010: dal delitto erano passati 20 anni e l’uomo si suicidò a pochi giorni da un’udienza in cui avrebbe dovuto comparire come testimone nel processo a Raniero Brusco. Si lasciò annegare e scrisse su un biglietto: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”.
A dicembre la gip Giulia Arcieri ha ordinato nuove indagini. In particolare su alcuni documenti riservati che sarebbero stati conservati negli uffici dell’Aig (Associazione italiana alberghi della Gioventù), dove appunto lavorava Simonetta Cesaroni. A quanto è emerso dalle indagini, sarebbero stati dei documenti riservati, che potevano interessare ai servizi segreti, dal momento che l’Aiag tra le altre cose monitorava gli studenti italiani e stranieri. Ed è per questo che, almeno nelle prime fasi di indagini, i servizi potrebbero essere entrati in campo e aver ‘alterato’ la scena del crimine, per evitare che qualcuno dopo la morte della 20enne potesse mettere le mani su quelle carte riservate. Secondo quanto scrive Il Messaggero, a dare l’input alla richiesta di nuove indagini nel dicembre scorso sarebbe stato anche l’emergere di una circostanza, in particolare, ovvero la sparizione del registro delle presenze di quel giorno, che è stato ritrovato solo l’anno scorso e portato in Procura dal padre di Simonetta, che lo ha allegato all’istanza di opposizione alla richiesta di archiviazione. Quel pomeriggio, in ufficio, a quanto pare c’era una persona. Che ha detto però di essere uscito dall’ufficio intorno alle 14 (quindi prima che Simonetta arrivasse) e poi di essere andato a casa. Ma nessuno ha mai verificato queste affermazioni.
Nel respingere la richiesta di archiviazione chiesta dalla Procura, la gip Giulia Arcieri ha scritto di considerare “del tutto verosimile” la pista legata a documenti segreti. Una pista che potrebbe aver fatto entrare in scena “soggetti e/o interessi dei servizi segreti (…) come le persone in rapporti con l’Aiag”, l’associazione per cui lavorava Cesaroni.
