In Italia il lavoro nero torna a crescere e pesa sempre di più sull’economia nazionale. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat sull’economia non osservata, nel 2023 il valore dell’economia sommersa e delle attività illegali ha raggiunto 217,5 miliardi di euro, in aumento del 7,5% rispetto all’anno precedente. Una fetta consistente, circa 185 miliardi, deriva dal lavoro irregolare e dalle sotto-dichiarazioni di redditi e fatturati.
Ma dove si concentra di più l’evasione?
Sul podio c’è il terziario, dove il lavoro nero incide per il 13,9%. A trainare il fenomeno sono soprattutto gli “altri servizi alle persone” — colf, badanti, baby-sitter e assistenti familiari — un comparto in cui il tasso di irregolarità tocca livelli record: oltre il 40% delle prestazioni lavorative non è in regola.
Subito dopo viene l’agricoltura, con un’incidenza del 17,6%, dove stagionalità, bassi salari e controlli difficili favoriscono il ricorso a manodopera non dichiarata.
Segue il macrosettore di commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, che registra un tasso di irregolarità del 15%. In particolare, bar, ristoranti e strutture turistiche rappresentano aree ad alto rischio di evasione contributiva.
Chiude la lista delle aree più critiche il comparto delle costruzioni, con il 12,8% di lavoratori in nero, un dato che conferma le difficoltà di controllo nei cantieri e la fragilità delle piccole imprese del settore.
Secondo l’Istat, nel 2023 le unità di lavoro irregolari sono state oltre 3,1 milioni, in aumento di quasi 145 mila rispetto al 2022 (+4,9%), un ritmo di crescita quasi doppio rispetto a quello del lavoro regolare (+2,4%).
I sindacati lanciano l’allarme. Per la Cgil, il lavoro nero “riflette un grave peggioramento dei diritti e delle tutele” e produce “concorrenza sleale verso le imprese che rispettano le regole”. La Uil chiede invece di “rafforzare la tracciabilità di tutte le transazioni” per contrastare in modo più efficace l’evasione e la mancata regolarizzazione dei rapporti di lavoro.
Fonte Il Corriere della Sera
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