Le immagini che stanno circolando in rete nelle ultime ore raccontano più di qualsiasi commento: adolescenti che si affrontano in pieno giorno, tra insulti e spintoni, mentre attorno i coetanei riprendono tutto con il telefono. Abbiamo deciso quando abbiamo riportato per primi la notizia di non pubblicare quei video. Non perché il fatto non sia rilevante, ma perché la violenza, soprattutto quando coinvolge minorenni, non può diventare merce da condividere. Ciò che è accaduto alla Stazione delle Corriere di Thiene non è solo un episodio di cronaca locale: è il segnale evidente di un fenomeno che sta travolgendo l’intero Paese e che impone una presa di posizione ferma, senza attenuanti.
I dati
Secondo Europol, i reati commessi da minori in Italia sono cresciuti del 26% rispetto al 2020. Numeri che parlano chiaro: il disagio adolescenziale non sta aumentando, sta esplodendo. E la violenza fisica è solo la superficie più visibile di un malessere più profondo, che si manifesta con ansia, apatia, isolamento, incapacità di gestire conflitti e frustrazioni. È un quadro che le famiglie conoscono bene, che la scuola vive ogni giorno e che il territorio, spesso, intercetta solo quando è troppo tardi. La dinamica vista a Thiene ne è un esempio lampante. Ragazzi che non intervengono, ma filmano. Ragazze che non cercano una soluzione, ma uno scontro. E poi la corsa a caricare tutto online, dove il gesto perde gravità e diventa contenuto da condividere e banalizzare. Su TikTok esistono persino profili seguitissimi in cui adolescenti si mostrano con mazze da baseball, cani aggressivi, atteggiamenti minacciosi. Segnali evidenti di una pericolosa desensibilizzazione, dove la violenza diventa linguaggio e la popolarità digitale sostituisce il riconoscimento reale. Di fronte a questo scenario, non basta l’indignazione. Non basta il commento.
Serve un cambio di passo
L’Osservatorio Nazionale sul Bullismo e sul Disagio Giovanile lavora da anni proprio per prevenire situazioni come questa, portando nelle scuole progetti educativi, percorsi di peer education, incontri con campioni dello sport e professionisti specializzati. L’obiettivo è chiaro: fornire strumenti concreti a ragazzi, insegnanti e famiglie per riconoscere e gestire i segnali di disagio prima che degenerino. Le collaborazioni con enti locali sono un tassello indispensabile per costruire una rete educativa credibile, costante e capace di affiancare i giovani nei loro luoghi quotidiani, non solo nei momenti di emergenza. Perché prevenire significa esserci, ogni giorno, con adulti che ascoltano, indicano una strada e offrono alternative. Una comunità educante funziona solo quando tutti – scuola, famiglia, istituzioni e terzo settore – si assumono la propria parte di responsabilità. Ai giovani non servono etichette, ma opportunità. Non sermoni, ma riferimenti solidi. Non spazi virtuali in cui farsi male, ma luoghi reali in cui sentirsi accolti, messi alla prova, compresi.Servono ora. Perché quello che è accaduto a Thiene non è un fatto di cronaca: è un avvertimento. E ignorarlo sarebbe il più grande errore che potremmo commettere come comunità. Perché questa non è solo la storia di una rissa tra minorenni. È lo specchio di ciò che siamo diventati e di ciò che rischiamo di perdere se continuiamo a voltare lo sguardo altrove. La violenza giovanile non si argina con un commento indignato né con un video condiviso in più. Si argina con adulti presenti, comunità vigili e istituzioni che scelgono di agire, non di commentare. Il tempo delle analisi è finito: ora serve responsabilità. Responsabilità di chi educa, di chi guida, di chi osserva. Responsabilità di ognuno di noi. Perché i ragazzi non stanno gridando per farsi notare. Stanno chiedendo, disperatamente, di essere ascoltati. E se non lo faremo adesso, domani sarà troppo tardi. scrivi un titolo che inviti alla riflessione.
Valentina Ruzza
Stampa questa notizia





