Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il filo rosso delle iniziative ha attraversato piazze, istituzioni e migliaia di profili social. Le scarpe rosse, simbolo universale della lotta contro la violenza di genere, hanno moltiplicato la loro presenza tra feed e stories: un gesto potente, nato dall’installazione “Zapatos Rojos” dell’artista Elina Chauvet, ormai parte della memoria collettiva. Eppure, mai come quest’anno, il contrasto tra simbolo e comportamento è apparso evidente. Perché molte di quelle stesse voci che ieri esponevano scarpette rosse come segno di solidarietà, solo pochi giorni fa partecipavano , spesso con toni feroci,  alla gogna mediatica contro Belen Rodriguez, colpevole di aver mostrato in pubblico la sua fragilità. Durante la sua partecipazione a Vanity Fair Stories, Belen Rodriguez è apparsa provata, diversa dal suo solito. Meno brillante, meno energica, quasi svuotata. Sul palco si parlava di temi delicatissimi: il rapporto complesso con l’ex compagno Stefano De Martino, un presunto tentativo di estorsione da 500 mila euro, la gestione della pressione mediatica. Ma ciò che più ha colpito non sono state le parole , incerte, a tratti spezzate,  bensì la sua postura, il volto teso, la difficoltà evidente nel mantenere concentrazione e ritmo. Video circolati sui social mostrano la showgirl che fatica a parlare, sbiascica alcune frasi, si interrompe, sembra perdere il filo. Fino a quando viene accompagnata dietro le quinte, visibilmente scossa.

Il giorno dopo, Belen ha scelto la via della verità, affidandosi a un post su Instagram: «Ho avuto un attacco di panico e ho preso dei calmanti per sentirmi meglio. Non ho mai fatto segreto degli attacchi di panico e della depressione. E posso garantire che non è vita.» Ha spiegato che prima dell’intervista aveva assunto tre calmanti consecutivi: «Ovviamente non è stato bello per me rivelarmi così. Ma ci tenevo ad esserci. Non è facile accettare questa fragilità che, se fai un lavoro pubblico, può diventare anche una presa in giro. Mi dispiace, ma ci sto lavorando e mi curo.» Una confessione rara, potente, che in un Paese dove il tema della salute mentale è ancora avvolto da stigma e superficialità, meriterebbe ascolto, empatia, profondità. E invece? Per molte, l’occasione è diventata un facile bersaglio. Commenti feroci, giudizi affrettati, ironie sul suo aspetto “svuotato”, accuse di aver “esagerato” o “recitato”. Gli stessi profili che ieri gridavano “Stop alla violenza sulle donne” con una foto di scarpe rosse.

La violenza contro le donne non è solo quella fisica, brutale, che riempie le cronache. È anche il linguaggio che ferisce, la derisione, la pressione sociale, il discredito pubblico. È violenza anche questa: attaccare una donna nel pieno di una crisi, mettere in dubbio la sua salute mentale, minimizzarne il dolore perché è famosa, deriderne la fragilità sotto i riflettori. La violenza cambia forma, ma non cambia natura. E la contraddizione esplode: perché le scarpe rosse non possono essere una posa estetica se, nello stesso tempo, si partecipa allo sfogo di un’aggressività mediatica che colpisce proprio chi è fragile. La Giornata del 25 novembre, con la sua storia profonda — dall’assassinio delle sorelle Mirabal alle lotte contemporanee per i diritti — non può ridursi a uno scatto social. È un’occasione collettiva di autocritica, consapevolezza, responsabilità. Non si può chiedere rispetto per le donne solo quando la narrazione è conveniente. Non si può condannare la violenza solo quando è visibile. Non si può difendere le donne a giorni alterni. La coerenza è la vera cartina tornasole del cambiamento.

Belen Rodriguez l’altro giorno, non era un personaggio televisivo: era una donna in crisi, su un palco, circondata da occhi e giudizi. Una donna che ha avuto il coraggio di dire la verità sulla propria salute mentale, nonostante sapesse che quella sincerità avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesimo titolo, nell’ennesimo attacco. Forse, prima di pubblicare una foto di scarpe rosse, dovremmo chiederci se siamo pronti a difendere tutte le donne. Anche quelle che non ci piacciono. Anche quelle che sbagliano. Anche quelle famose. Anche quelle che affrontano depressione, panico, fragilità. Perché la violenza non si combatte un giorno all’anno. E non basta un simbolo, se le parole restano un’arma.

Valentina Ruzza

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