“Chi ostacola l’autonomia difende un’uguaglianza tra nord e sud che di fatto non esiste, anzi difende il degrado di Roma e la debolezza del Mezzogiorno”.

Sulla richiesta di autonomia differenziata e sugli ostacoli che ne rallentano il percorso, questa volta prende la parola Mario Bertolissi, capo della delegazione trattante del Veneto, che invita ad osservare in modo obiettivo e critico la situazione italiana per comprendere che chi è contrario all’autonomia difende una sostanziale differenza tra nord e sud e non si rende conto che la tanto temuta disuguaglianza di fatto è semplicemente la situazione attuale.

Dopo tanti tecnicismi e pagine scritte in burocratese, il professore di Diritto Costituzionale all’università di Padova ha capito che, per farsi capire, è ora di cambiare linguaggio nei confronti del popolo e anche di chi siede nelle stanze del potere, dove la ‘parlata’ universitaria e i termini accademici del diritto, non sono alla portata di tutti.

“L’opinione pubblica deve sapere che quello di cui si preoccupa Luigi Di Maio, cioè della situazione penalizzante per il sud Italia, è la realtà attuale e non una eventuale conseguenza dell’autonomia – ha sottolineato Bertolissi – L’uguaglianza che viene invocata è di carattere totalmente astratto e non vengono fornite indicazioni di carattere concreto. Il consueto richiamo alla sanità e all’istruzione, che dovrebbero rimanere saldamente nelle mani dello Stato, non dice affatto di quali sono le condizioni in cui versano entrambe nelle varie Regioni, ma evocano l’eguaglianza in astratto. Insomma, si parla di ‘indebolimento dei diritti di cittadinanza’ come se oggi fossero assicurati su tutto il territorio nazionale: mentre in Calabria è meglio non ammalarsi e non poche difficoltà incontra pure l’istruzione. Che cosa si è fatto finora? Di certo, il degrado non dipende dall’autonomia differenziata, che non c’è, ma da una classe dirigente incapace che preferisce dialogare sui massimi sistemi che non portano mai a nulla di buono”.

Bertolissi non risparmia nemmeno le critiche al Parlamento, chiamato in causa dal Movimento 5 Stelle, che a dire del professore non farebbe la sua parte ma si limiterebbe ad eseguire le direttive imposte dal governo e accusa i pentastellati di “occuparsi del ruolo del Parlamento, che non va emarginato, dunque deve poter emendare le bozze delle intese. Bene, ma perché non dire che il Parlamento, da decenni, è ridotto a comparsa, convalida quello che ha deciso il Governo, patisce umiliazioni, senza colpo ferire, ad esempio, quando approva testi che addirittura non conosce, come è accaduto, a fine 2018, a proposito di documenti politici essenziali, quali sono il bilancio annuale e pluriennale? Se si vuole invertire la tendenza, lo si dica, ma si eviti di passare sotto silenzio eventi, che rendono paradossale quello che è scritto nell’appunto. Se si è inclini a dire no alle richieste regionali, è opportuno essere schietti, non ipocriti. Quanto agli ‘schemi di intesa’ – continua il professore – non si va oltre l’ipotetico: tanto è vero che si accenna a “materie… strutturalmente non devolvibili nella loro interezza alle Regioni”. È un discorso che si fa a tavolino. Sul piano tecnico, si è in grado di stabilire che cosa si può e si deve fare a livello statale, regionale e locale: millimetricamente. Ne sanno qualcosa le delegazioni che si sono confrontate, del cui operato sono all’oscuro i redattori delle pagine date al Presidente del Consiglio, il quale avrebbe dovuto accorgersene. Infine, che dire delle osservazioni dedicate alle ‘risorse finanziarie’? Nelle bozze è riaffermato il criterio della spesa storica: a ogni Regione si darà quel che ora spende lo Stato, che è quanto di più irrazionale e scombinato vi può essere. Le Regioni hanno previsto che, “nell’ipotesi di mancato adempimento, da parte dello Stato, dell’obbligo di introdurre i costi e i fabbisogni standard (l’inerzia dura da un decennio), si debba applicare il criterio del valore medio nazionale pro-capite, favorevole alle Regioni istanti”. I fatti – conclude Mario Bertolissi – dimostrano che finora lo Stato ha garantito il contrario dell’uguaglianza tra le Regioni e lo provano le condizioni in cui versano il Mezzogiorno e, in particolare, Roma Capitale, di cui varrebbe la pena si occupassero il Governo e, pure, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri”.

Anna Bianchini

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