Giunta quest’anno alla 13^ edizione, l’indagine “Il mercato del credito in provincia di Vicenza” ha avuto come principale obiettivo quello di cogliere la reazione delle imprese vicentine al nuovo scenario del mercato del credito.

La situazione sui mercati finanziari negli ultimi mesi è stata caratterizzata da nuove e importanti tensioni. Il conflitto tra Russia e Ucraina, l’inflazione elevata, una politica monetaria restrittiva, con conseguente aumento dei costi del debito bancario, hanno generato una situazione di instabilità e volatilità dei mercati, ponendo numerosi interrogativi sulle prospettive di sviluppo nel medio termine per moltissime aziende”, ha sottolineato Roberto Spezzapria, Vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega a Credito, Finanza ed Equity nel presentare l’indagine.

Eppure, nonostante la situazione finanziaria delle aziende abbia risentito dei rincari dei prodotti energetici e dell’aumento dei tassi di interesse, la liquidità delle imprese è risultata sufficiente a coprire il fabbisogno finanziario nei successivi dodici mesi nell’83% dei casi. Questo ritengo sia uno dei dati più rilevanti, perché conferma ancora una volta la solidità del tessuto produttivo vicentino, capace di resistere anche a quella che poteva essere una grossa difficoltà in questo ambito”, commenta Spezzapria.

Lo stato della liquidità

Nel corso del 2022, nonostante il graduale venir meno delle misure di sostegno alle imprese (moratorie e garanzie statali) e

il peggioramento delle condizioni finanziarie, le imprese vicentine non hanno avuto ripercussioni sulla capacità di fare fronte ai propri debiti. L’83% delle aziende dichiara, infatti, di essere in grado di rimborsare alla scadenza le rate dei mutui in essere (il 6% prevede un probabile ritardo).

L’andamento del costo del credito

Dopo il forte incremento registrato nel 2020, in virtù di una politica monetaria ultra-espansiva, il livello medio di indebitamento nel 2022 si è mantenuto stabile. Hanno registrato, invece, un aumento le spese di istruttoria (da 0,49% a 0,65%), lo spread sul tasso variabile (da 1,46% a 1,67%) e sul tasso fisso (da 1,31% a 2,06%).

Le quote del mercato creditizio

Nella provincia di Vicenza la banca che detiene la maggior quota di mercato nel 2022 si conferma Intesa Sanpaolo (28,2%) seguita da Unicredit (17,4%) e da Banco BPM (11,3%).

La qualità del rapporto banca-impresa

Quasi la metà del campione intervistato segnala un frequente aumento delle commissioni e degli spread (49%), a fronte di un 29% che non rileva alcuna criticità ed anzi considera favorevoli le condizioni applicate. Per il 26% dei rispondenti, i tempi di risposta da parte degli istituti di credito sono lunghi. Solo l’8% delle imprese dichiara difficoltà nel rinnovo dei fidi. Complessivamente quasi il 70% degli imprenditori non rileva un peggioramento nella qualità del rapporto con gli intermediari e la fiducia nei confronti del sistema bancario è rimasta invariata; per circa un terzo del campione, invece, la relazione è peggiorata e la fiducia è diminuita nel 24% delle imprese.

L’impatto del conflitto Russia-Ucraina

Il conflitto russo-ucraino ha creato fortissime tensioni sui prezzi di molte materie prime, causato significativi blocchi delle linee commerciali e introdotto un’elevata incertezza. I rincari del gas e dell’energia elettrica si sono trasferiti sui costi di produzione delle imprese determinando aumenti dei prezzi di vendita e riduzioni dei margini di profitto.

Il 60% degli intervistati registra infatti un calo della marginalità nel corso del 2022. Per far fronte agli aumenti dei prezzi senza intaccare il profitto il 20% delle imprese dichiara di aver aumentato i prezzi di vendita. Per il 26% delle aziende intervistate il conflitto avrà una ricaduta duratura sul proprio business, in particolare a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia (44%) e della difficoltà di approvvigionamento (21%), con conseguente ritardo nei tempi di consegna dei beni (16%).

Le previsioni per il 2023

Per quanto riguarda le previsioni sull’esposizione verso il sistema bancario nel 2023, il 23% delle aziende intervistate prevede una riduzione dell’indebitamento, il 60% ritiene di mantenerlo invariato, mentre il 13% di aumentarlo.

I nuovi finanziamenti che le aziende richiederanno nel corso dell’anno saranno destinati per il 7,3% dei rispondenti a far fronte ai rincari di materie prime e spese energetiche, per il 13,6% alla gestione dei fabbisogni correnti, mentre serviranno per ben il 41,5% alla realizzazione di nuovi progetti d’investimento e di innovazione: “Una percentuale assolutamente degna di nota e che fa ben sperare – evidenzia Spezzapria –, segno che nonostante la forte incertezza, le difficoltà non sono sufficienti a placare il desiderio di crescita che caratterizza il nostro territorio”.

Nel prossimo futuro, infine, mentre il 32% delle imprese valuta la possibilità di aprire il proprio capitale ad investitori finanziari (es. fondi di private equity), il 65% lo esclude.

Anche su quest’ultimo aspetto ritengo sia opportuna una riflessione, perché denota una sorta di cambiamento culturale nella nostra provincia, di cui si deve tenere conto e che va attentamente monitorato. Nel 2020 era il 28,6% delle imprese a valutare l’apertura del proprio capitale agli investitori, oggi siamo invece al 32%. Un aumento modesto a livello percentuale, ma non irrilevante, che corrisponde non a caso anche a un aumento effettivo delle operazioni straordinarie che vedono l’ingresso nelle aziende locali di grandi gruppi internazionali o fondi di investimento. Questo fenomeno, di per sé, non è affatto negativo, o non lo è a priori, nella misura in cui da simili operazioni le aziende possono spesso trarre ovvi benefici in termini di rafforzamento e continuità del business. Il problema sorge nel momento in cui agli investitori esteri – dunque senza alcun legame storico o affettivo con il territorio –, risultasse insostenibile in termini di convenienza mantenere in loco la propria presenza. Una simile evenienza – tutt’altro che remota date le risapute difficoltà del ‘fare impresa in Italia’ – deve essere assolutamente scongiurata, perché a quel punto sul terreno oltre alle macerie delle aziende resterebbero anche quelle del lavoro. Ben vengano, dunque, gli investimenti, ma allora, a maggior ragione, va fatto tutto il possibile – e cioè molto di più – affinché possa risultare ancora conveniente produrre e creare lavoro nel nostro Paese”, conclude il vicepresidente Spezzapria.

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