Settantasei anni fa anche nel Veneto la seconda guerra mondiale si concludeva e con la ritrovata libertà si apriva un cammino di riscatto e la via della ricostruzione. Un appuntamento pagato con molte vite e tante sofferenze che, oggi, ci impone di non dimenticare come nella nostra regione sia stata scritta una delle pagine più importanti della Guerra di Liberazione, la cui memoria è affidata per sempre, insieme al ricordo riconoscente verso i Caduti, alle sei medaglie d’oro al valor militare assegnate per quei fatti ad altrettante nostre città e a quella che fregia l’Università di Padova, unico ateneo con questo riconoscimento.

Ma in quei giorni tragici ritroviamo anche il senso di un’antica tradizione di libertà, solidarietà e altruismo da sempre propria della nostra gente come testimoniano gli oltre cinquanta veneti a cui Israele ha riconosciuto il titolo di Giusto tra le Nazioni per non aver girato la testa dall’altra parte e per aver sentito proprio il dovere di reagire all’orrore dell’Olocausto e della persecuzione razziale. Tra essi ci sono numerosi sacerdoti insieme a persone umili e sconosciute che hanno consapevolmente rischiato la vita seguendo un innato sentimento di umanità e giustizia. Questo ci ricorda, inoltre, come non ci fu solo la Resistenza combattuta con le armi. Ci fu quella che coinvolse tutta la popolazione civile a cominciare dalle donne, molto spesso sole e coi mariti lontani, vere combattenti di quei giorni nel reagire alle privazioni, nella sopportazione della fame, nell’opporsi alle catture e alle razzie. In un clima di rovina e di odio, frutto dei tempi, le donne venete furono le protagoniste e il motore di una impensabile coesione sociale che, tramite i valori che seppero mantenere nei loro figli, delineò la forza di uno sviluppo senza precedenti per la nostra regione che dalla rovina nella povertà passò ad essere uno dei principali poli produttivi d’Europa.

I frutti di quella crescita oggi sembrano messi a rischio e ostacolati dagli effetti della pandemia, che dopo più di un anno stiamo ancora fronteggiando e ci ha fatto contare nel Veneto oltre 11.000 morti. È certo che ne usciremo e, con tutte le differenze delle circostanze, troveremo come settantasei anni fa la via della concordia per rimboccarci le maniche, ritrovare il lavoro e con esso consolidare quel benessere che sentiamo minacciato.

Le immagini della Liberazione di Venezia nel 1945 ci mostrano gli insorti per le calli proprio nei giorni dedicati a San Marco. Per noi Veneti, infatti, la festa della Liberazione coincide con quella del nostro Patrono, la giornata che riassume la nostra storia e gli antichi valori di libertà, democrazia e senso delle istituzioni che ci vengono dalla Serenissima, il primo ordinamento repubblicano moderno con oltre dieci secoli di storia. Quest’anno la festa dell’Evangelista trova ulteriore significato per tutto il Veneto nei 1.600 anni di Venezia, celebrati il mese scorso. Secondo la tradizione è con la costruzione della prima chiesa a Rialto che si identifica la nascita della città e con essa l’avvio di quel percorso storico ultramillenario alla base della nostra identità. Un percorso di cui siamo fieri perché modello di libertà, democrazia, cosmopolitismo, accoglienza e dignità del lavoro.

Per questo, il giorno della Liberazione per noi rappresenta doppiamente un simbolo di identità storica, nel rispetto della libertà di tutti e delle regole, nel rifiuto di ogni prevaricazione, nei valori della civile convivenza, nell’assunzione delle proprie responsabilità come contributo alla vita e alla crescita collettiva.

Comunicato stampa della Regione Veneto

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