Da parte delle persone indagate che hanno ricevuto la visita degli agenti della Digos spiazza la reazione di stupore: “Perché, non si può protestare?”

Totale inconsapevolezza della gravità della loro posizione penale, come se istigare all’odio, augurare gambizzazioni e godere nel pensiero di rappresaglie nei confronti di istituzioni dello Stato, virologi e giornalisti fosse normale.

Sono tredici le persone “anti sistema” indagate dalla Digos di Vicenza, due delle quali per il reato di istigazione a delinquere, per minacce al Presidente della Repubblica, al premier Mario Draghi, a esponenti del mondo scientifico e a giornalisti.

Questi ultimi accusati di fare terrorismo mediatico e di essere responsabili e sostenitori dei provvedimenti contro il covid.

Tre le fasi di attività della Digos. La prima è partita nel mese di luglio, quando sono state attenzionate piattaforme social, dove sono balzati agli occhi i post di persone della provincia di Vicenza, di cui farebbero parte anche insegnanti e sanitari che appoggiavano le iniziative di protesta no vax e simpatizzanti dell’ex parlamentare Sara Cunial.

E’ stato grazie a questi post dai contenuti forti, dai toni deliranti, che gli agenti sono arrivati ad una 52enne vicentina, incensurata, madre di tre figli e cassiera in un supermercato. L’insospettabile ‘garibaldina’ incitava a bloccare treni e altre azioni dimostrative “senza dimenticarsi dei responsabili”: governo e medici, ai quali riservava minacce da brivido. Interrogata dai poliziotti, la donna ha ammesso le sue responsabilità, ma riferiscono gli investigatori che stanno conducendo le indagini che promettono nuovi sviluppi, ha mostrato stupore. Ha dichiarato di essere basita perché a suo dire lei stava solo esercitando il diritto di protestare.

Come se incitare alla violenza e ad azioni che vanno ben oltre il diritto di manifestare sancito dalla Costituzione, fossero cose normali. Ma non finisce qui: nel mirino della Digos un 61enne che parlava di “eliminazione fisica dei nemici”. L’uomo è arrivato al punto di mettere alla gogna anche la moglie e i suoi due figli chiamandoli “zombie, macchinette controllate in remoto, servetti obbedienti che eseguono qualsiasi ordine. Credevo di amarli ma mi sbagliavo”.

Tra gli obiettivi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Mario Draghi, il virologo Roberto Burioni, il direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, il quale “negli anni Settanta – ha scritto l’esaltato – sarebbe già stato gambizzato 50 volte. E io avrei apprezzato, e con lui il 95% dei giornalisti”. Il 61enne ha richiamato poi “le masse ad un’insurrezione generale, con un uso totale di ogni forma di forza. Chi segue questo canale e non è totalmente convinto della necessità assoluta di una lotta con ogni mezzo – ha invitato – è pregato a togliersi dal …”. Nelle perquisizioni fatte dalla polizia non sarebbero state trovate armi. L’attività giudiziaria ora prosegue con l’analisi dei telefonini, dei vari device e dei PC sequestrati agli indagati.

Nota di Redazione

Che i giornalisti fossero nel mirino dei talebani da tastiera ce n’eravamo accorti da un pezzo e basta guardare le prime pagine dei giornali pubblicate sulle bacheche facebook con i commenti dei lettori di primo mattino per accorgersi della deriva sociale alla quale siamo arrivati. Noi della Redazione di Altovicentinonline ci sentiamo fortunati, perché i nostri lettori, a parte qualche caso isolato che in passato abbiamo anche denunciato, sono molto civili e manifestano il loro pensiero in modo neutro. Spesso a fine giornata andiamo a guardare i post sotto gli articoli pubblicati durante il giorno per vedere se c’è qualcuno che l’ha detta troppo grossa, facendoci magari rischiare qualche denuncia. Se insulti una istituzione dello Stato ne rispondiamo anche noi legalmente. Quindi a volte siamo costretti a cancellare chi rischia di farci pagare qualche risarcimento danni da capogiro. Ma basta andare su altre testate giornalistiche per rimanere sconvolti: l’operaio che contesta il titolo in prima pagina del direttore con esperienza trentennale, come se avesse preso la laurea in giornalismo all’università di facebook. L’esaltato con la terza elementare che va in bestia solo a vedere la foto del Papa, del presidente Mattarella o del virologo Bassetti. Non conta quello che c’è scritto all’interno dell’articolo, le mani leste dei social sono più veloci dei fulmini e giù con insulti, auguri di morte e offese che entrano nel merito della competenza professionale dei malcapitati. Non si limitano a battezzare ‘Crisantemo’ il professor Crisanti. A definire ‘pajassi’ Draghi e la sua squadra di professionisti al governo, loro vanno oltre. Guai a riportare i bollettini delle Ulss provinciali che danno i numeri dei morti appena usciti dalle terapie intensive: “Sono sicuramente dati sbagliati e gonfiati a regola d’arte dai giornalisti terroristi al soldi di Big Pharma.

Ieri una bidella di Malo ci ha augurato di restare senza lavoro. Un auspicio, che non c’entrava niente con l’articolo che le ha ispirato tanta cattiveria. Ma ormai gli esaltati hanno deciso che quello che dicono i medici “è falso perché sono stati comprati tutti dalle case farmaceutiche, il governo è dittatore e tutti i giornalisti del mondo sono sul libro paga dei poteri forti che li hanno imbottiti di soldi per manipolare le menti e scrivere menzogne”.

Come se loro, i farneticanti accusatori, fossero tutti i giorni nei reparti degli ospedali a riscontrare le falsità, come se sotto le lenzuola delle barelle che portano fuori i cadaveri, loro avessero le prove che ci sono fantocci o attori, anche loro pagati per inscenare le finte tragedie. L’operazione della Digos, portata avanti in questi mesi, dicono gli investigatori, è solo la punta di un iceberg, lo spaccato di una società imbottita dalle fake news condivise ossessivamente senza che l’utente della rete sappia distinguere la bufala da una notizia ufficiale. Il delirio è quotidiano, alimentato da sentimenti fatti di ignoranza e complottismo. Gli indagati dell’operazione della Digos vengono descritti come degli appartenenti ad una setta, dove non c’è posto per lo studio serio, le domande pertinenti e i dubbi umani. “Siamo in dittatura, ci vogliono sottomettere e non c’è niente e nessuno che possa convincerli del contrario”.

Fa gelare il sangue il fatto che si scambi per libertà di opinione la violenza, lo dimostrano i commenti sotto gli articoli su quanto avvenuto alla Cgil, dove chi spacca tutto, danneggia le cose altrui, passa per eroe e non per delinquente.

Rosa Natalia Bandiera

Anna Bianchini

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