Undici condanne e 4 assoluzioni, per un totale di 141 anni di carcere nei confronti degli imputati riconosciuti colpevoli del maxi-inquinamento da Pfas delle acque superficiali, di falda e degli acquedotti in Veneto. La sentenza è stata emessa oggi dalla Corte d’assise di Vicenza, dopo 6 ore di camera di consiglio, e ha inflitto pene variabili tra i 2 anni e 8 mesi e i 17 anni e mezzo.
Il processo ai vertici delle aziende che si sono avvicendate nella gestione del sito produttivo Miteni (Vicenza) sono state oggi condannate per aver contaminato l’acqua con i Pfas, compresa quella potabile, della seconda falda acquifera d’Europa a servizio di più di 300.000 persone in Veneto. E’ dunque una “sentenza storica e grande vittoria per il popolo inquinato. Dopo anni di denunce, vertenze e battaglie, portate avanti anche da Legambiente e dai suoi circoli, chi ha inquinato finalmente paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio veneto danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini”, dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che con a Legambiente Veneto e ai circolo locale si sono costituite parti civili nel processo ed erano presenti oggi alla lettura della sentenza. La prima denuncia risale al 2014, fatta dal Circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali. coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente, che poi negli anni si sono battuti, dentro e fuori le aule del tribunale, per ottenere ecogiustizia. La sentenza di oggi a Vicenza conclude “uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d’Italia ricordi”, sottolinea Ciafani. Ma non è finita qui: “Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda -rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 chilometri quadrati- ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva”.
Legambiente ricorda che per diversi decenni, l’azienda chimica Miteni ha prodotto Pfas a Trissino (Vicenza) e ha rilasciato i suoi rifiuti “senza controllo, inquinando le acque superficiali e sotterranee e la catena alimentare, colpendo zone di Verona, Vicenza e Padova”. La sentenza arrivata oggi, dichiara Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, è frutto di un processo durante il quale “è stato provato senza ombra di dubbio che l’inquinamento da Pfas e da altre sostanze (C604 e GenX) proviene dal sito Miteni e sia imputabile alla gestione, anche recente, dell’impianto industriale. La conferma da parte della Corte dell’ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili ed a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni”. Durante il processo è emerso con chiarezza che “per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali”, continua Lazzaro.
Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, in questi giorni, ricorda Legambiente, è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso. “Ci auguriamo- aggiungono Ciafani e Lazzaro- che la sentenza di oggi possa essere un monito ed una spinta ulteriore a rispettare quanto previsto per la bonifica del sito produttivo e ad accelerare l’applicazione di soluzioni anche per il disinquinamento delle acque di falda contaminate”. Per affrontare in maniera adeguata l’emergenza Pfas, emersa nel 2013, risulta sempre più urgente, anche alla luce della sentenza, “lo sviluppo da parte di Governo e Regione di alcuni necessari interventi per una compiuta analisi e stima dello stato di salute dei cittadini, della contaminazione esistente e dell’impatto che l’esposizione ai Pfas ha generato nella popolazione”. E prioritaria è la prevenzione da eventuali nuovi fenomeni di contaminazione, attraverso “l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia nei procedimenti in itinere” per “garantire che la compromissione della falda esistente e fenomeni ulteriori di inquinamento da Pfasd ei punti di approvvigionamento idrico in Veneto non si ripetano, facendo memoria della tragica e costosa esperienze del passato”, indica Legambiente.
