Dopo Cristina Guarda, è Carlo Cunegato a puntare il faro sui 6,1 milioni di euro stanziati dalla Regione Veneto a favore della sanità privata, che aiuterà a smaltire le liste d’attesa che nel periodo dell’emergenza covid sono diventate ancora più lunghe.

“Uno stanziamento sostanzioso, per garantire un mezzo rapido che però non darà nessuna garanzia ai cittadini”, ha commentato il consigliere comunale di Schio e candidato alle prossime regionali con Il Veneto che Vogliamo, a fianco di Arturo Lorenzoni.

Sotto esame il passaggio da Ulss 4 Alto Vicentino a Ulss 7 Pedemontana, con il cambiamento che ha portato, come più volte denunciato, ad un abbassamento della consistenza dei servizi territoriali, a causa della mancata entrata a regime della medicina integrata, punto cardine della riforma sanitaria.

“6,1 milioni di euro per finanziare l’acquisto di prestazioni ambulatoriali specialistiche dalle strutture private – ha spiegato Cunegato – Si tratta evidentemente di un mezzo rapido per rispondere al problema delle liste d’attesa, ma quale qualità garantisce al cittadino? Una volta effettuata la visita o l’esame, il problema della persona che si ritrova con una patologia è “Chi si occuperà di me? Chi mi seguirà, specie se ci vorrà parecchio tempo? E, se servono più specialisti, come fare a metterli insieme, specie se lavorano in strutture diverse?” La vecchia Ulss Alto Vicentino, che era un’eccellenza, aveva sviluppato numerosi progetti che avevano il compito di mettere insieme i diversi specialisti all’interno dell’ospedale, o tra ospedale e territorio. Erano nati per questo numerosi ambulatori integrati che affrontavano patologie complesse. Prendiamo ad esempio l’Ambulatorio del Melanoma: una malattia come questa necessita dell’interazione del dermatologo, del chirurgo e dell’oncologo, oltre naturalmente al medico di base. Quando un malato di melanoma veniva preso in carico dall’ambulatorio, si trovava fin da subito delineate le tappe del suo percorso di cura, senza dover più andare in giro a fissare appuntamenti. Ma, cosa ancor più importante, i medici si parlavano tra di loro e decidevano insieme gli interventi migliori, limitando i margini di errore delle singole valutazioni, e monitorando le diverse fasi. Queste esperienze positive si erano moltiplicate, erano nati gli ambulatori dell’ipertensione, dello scompenso cardiaco, dell’epilessia, della demenza, e altro ancora, e questo modo di operare rendeva l’ospedale attrattivo sia per l’utenza che per i medici. Purtroppo – ha concluso il candidato e consigliere – dopo il passaggio all’Ulss Pedemontana di tutto questo resta poco o nulla. Resta la dedizione dei professionisti che cercano di compensare le mancanze, ma manca un’organizzazione del lavoro che li metta in grado di dare la giusta risposta al cittadino. L’ospedale è diventato una struttura rigida ed iper-standardizzata dove tutto viene deciso dall’alto e tutti, ma proprio tutti, devono eseguire. Ma chi decide e governa la sanità, sulla base di quali evidenze ha interrotto esperienze che avevano dato solo esiti positivi? Perché l’amministrazione leghista mette fine a pratiche così virtuose?  Come si può pensare che acquistare prestazioni da strutture private basti a dare i corretti percorsi di cura? I cittadini vogliono risposte complete e serie, non palliativi”.

A.B.

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