In Italia, il tumore del collo dell’utero rappresenta il quinto tumore per frequenza nelle donne sotto i 50 anni e l’1,3% di tutti quelli diagnosticati. La probabilità di guarire dopo una diagnosi di tumore del collo dell’utero c’è ed in Italia è di circa il 64%. Come? Lo screening del tumore del collo dell’utero serve a favorire la diagnosi precoce dei tumori e delle lesioni che potrebbero evolvere in tumore (lesioni pretumorali), motivo per cui aderire alle campagne di screening diventa un percorso assolutamente consigliato. Nel 2021 sono state invitate a screening 323.304 donne venete, e si sono sottoposte a un esame di primo livello in 169.066; il 13% ha eseguito un Pap-test ed il restante 87% un test HPV-DNA. Le donne sottoposte ad approfondimento immediato per Pap-test positivo (o richiamate ad 1 anno per persistenza dell’infezione da HPV) sono state 5.697. Il tasso di positività al primo esame con test HPV-DNA si attesta all’8,6% mentre le donne già sottoposte a screening che avevano già partecipato a precedenti round con test HPV-DNA presentano un tasso per HPV pari a 3,9%. Il tasso di positività sul totale delle donne sottoposte a test HPV-DNA è del 6%, in calo rispetto al dato del 2020 (7,2%) e del 2019 (7,4%). Insomma, dice l’assessore regionale alla Sanità Manuala Lanzarin, “gli screening hanno dimostrato nel tempo di essere uno strumento fondamentale per individuare in fase precoce i tumori e consentire quindi cure tempestive e mirate, con possibilità di guarigione sempre più elevate. Un’arma che ha trovato un’adesione sempre crescente, a dimostrarne la validità”. Così lo screening per il tumore del collo dell’utero, attività consolidata nelle nove Aziende sanitarie del Veneto, raggiunge “ottimi standard qualitativi”.

Nel 2021 il Veneto ha riorganizzato i programmi di screening per recuperare i ritardi creati dal periodo Covid e tornare ai livelli pre-pandeia. Campagne mirate di sensibilizzazione e percorsi specifici “hanno aiutato le donne a scegliere le giuste strade”, dice Lanzarin. Ecco come: offerta di un Pap-test con cadenza triennale alle donne tra i 25 e i 29 anni non vaccinate contro il Papilloma Virus e posticipo dell’ingresso nello screening al compimento del 30esimo per quelle vaccinate contro l’HPV entro i 15 anni dato che le evidenze scientifiche hanno dimostrato per loro un rischio molto ridotto di sviluppare tumori o lesioni pretumorali; offerta del test HPV-Dna a tutte le donne tra i 30 e i 64 anni con cadenza quinquennale. Il 2021 “ha visto un forte impegno di tutte le Ulss per riportare l’attività ai livelli di estensione e adesione ottimali, recuperando i ritardi accumulati in seguito alla pandemia da Covid”, ricorda Lanzarin. L’implementazione del nuovo protocollo per le 25-29enni ha richiesto adeguamenti sul piano organizzativo e comunicativo rivolto a popolazione generale, donne interessate dalla novità e operatori sanitari. “La diminuzione del tasso di positività, verosimilmente legato alla maggior presenza di donne che già si sono sottoposte allo screening con test HPV, ha un riflesso positivo sul calo a breve termine del carico di attività dei centri di secondo livello per i primi approfondimenti; questa riduzione potrebbe riflettersi in futuro anche sul volume dei follow up”, annota l’assessore. Quanto agli approfondimenti di secondo livello rimane su dati giudicati ottimali il tasso di adesione alle colposcopie “dimostrando la fiducia” ai programmi di screening, anche se restano criticità in alcune aziende per i tempi degli approfondimenti. E la Regione intende insistere “per aumentare numero di quante aderiscono allo screening”.

 

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