“I bambini hanno bisogno di sognare e di sperimentare”. Questo è uno dei ‘credo’ di Antonella Miotto, direttrice della scuola dell’infanzia integrata San Vincenzo di Thiene,  in via Paù 14. Una chiacchierata con una donna, mamma ed educatrice amante del suo lavoro e dei ‘suoi’ bambini, che ha a cuore le loro fragilità per le quali è determinata a renderli punti di forza.

Antonella Miotto  racconta dell’evoluzione importante che ha raggiunto la scuola dall’inizio di questo anno scolastico. Si tratta di una presa di coscienza, dovuta anche alla necessità di non perdere valori e princìpi per colpa del Covid. Due realtà che convivono, da una parte la scuola materna con i ‘grandi di casa’ dai tre ai sei anni in preparazione alla scuola primaria, dall’altra i piccoli del nido con età che partono da circa 9 mesi. “E’ bello vedere i grandi che chiamano i più piccoli e li coinvolgono nelle attività, sentono una certa responsabilità e si può notare anche dal loro atteggiamento. Abbiamo dato una sferzata non indifferente alla scuola, perché prima si parlava di un metodo di studio con la consegna di schede da completare, programmi istituzionali standard. Ma ci siamo accorte che la scheda va bene perché porta comunque all’obbiettivo ma lascia per strada delle nozioni importanti: l’osservazione, il ragionamento, l’esperienza.

Con un metodo classico costituzionale, le educatrici dovevano elaborare un concetto esclusivamente sul cartaceo, ma si sono rese conto, sopratutto con l’arrivo del Covid, che i bambini avevano necessità di fare esperienza, di scoprire, arrivare tramite la logica e l’osservazione. Concetti acuti che, inevitabilmente, aprivano ad un infinito mondo di possibilità e di quesiti da risolvere. “Abbiamo iniziato lo scorso anno a prepararci, non è stato semplice, siamo sempre stati una scuola con classi omogenee e causa Covid abbiamo avuto un disastro. Cinque o sei anni fa eravamo in 180, ora siamo in 90.”

Calo drastico dovuto sia ad una diminuzione delle nascite, come ha evidenziato recentemente in un comunicato stampa anche il primo cittadino Giampi Michelusi, ma anche dovuto ad un problema socio economico: “Chi sceglie una scuola paritaria deve pagare una retta, ne siamo consapevoli. Ora più di prima diventa una scelta non indifferente. Prima la scuola cattolica era vista come una scuola con certi valori, con una metodologia particolare e una sorta di ‘famiglia allargata. Adesso diventiamo non più interessanti per quei valori ma diventiamo necessari perché a Thiene esiste solo una scuola statale e siamo indispensabili nel territorio”. Un punto di vista che mette in luce quanto sia quindi fondamentale il ruolo delle cinque scuole parrocchiali nel territorio thienese motivo per cui, come sostiene la stessa direttrice, spesso si creano dinamiche che portano ad un conflitto di interessi. Inevitabile affermare che la parrocchia gioca un ruolo cruciale in questa partita, tenendo conto anche di possibili debiti e in base a quelli diventa più o meno difficile sostenere anche la scuola.

“Per fortuna il comune ci è sempre stato vicino,” aggiunge la direttrice “prima Casarotto ora Michelusi, abbiamo sempre avuto il loro sostegno anche economico per far quadrare i bilanci.”

Le classi diventate eterogenee e una modalità di lavoro ormai obsoleta per la nuova situazione, sono stati i giusti stimoli che ha permesso alla Miotto e le sue insegnanti di prendere decisioni drastiche e di rivalutare il loro operato per il bene dei bambini: “Abbiamo iniziato dei corsi specifici per capire come procedere, abbiamo fatto venire un’esperta che ci ha insegnato come strutturare le aule, a capire quale materiale predisporre e in che modo, ma sopratutto la modalità di lavoro a livello esperienziale. Abituati a programmare l’intero anno scolastico in estate, ci siamo ritrovate a programmare di settimana in settimana le attività didattiche, seguendo anche le attitudini dei bambini, le domande nate da loro in quelle situazioni di studio e di scoperta che arrivavano alla loro mente e dovevano essere approfondite.”

Un altro tema sollevato durante l’intervista alla direttrice è stato quello del tempo e della sua qualità. Vivere in una società che chiede velocità e pretende ritmi elevati, non giova ai più piccoli. Questo, sostiene la Miotto, non è il ritmo dei bambini. Hanno i loro tempi e e sarebbe opportuno dare a loro un tempo neutrale dove il bambino possa sperimentare con la propria famiglia, essere ascoltato, coccolato, rincuorato. “Abbiamo capito che a scuola dovevamo trovare il tempo per lasciarsi andare e sperimentare, continuando però a mantenere i ritmi di un programma da seguire. Un tempo che a casa non hanno. I bambini sono rimasti entusiasti da questo cambiamento, ci hanno aiutato molto. La nostra paura era di non riuscire a mantenere un ordine, a mantenere la disciplina. Invece abbiamo capito che dovevamo lasciarli fare, lasciarli ‘creare disordine’. Il nostro compito è stato quello di indirizzarli da quel momento creativo in poi, passando ad organizzazione e da organizzazione ad obbiettivo. E’ stata una sfida ma ne è valsa la pena per la loro crescita e il loro sviluppo.

Nelle classi eterogenee sono così stati creati angoli organizzati, adatti alle fasce di età presenti nelle aule con la possibilità di spostarsi per andare a vedere le attività degli altri compagni. Una pianificazione degli spazi che, come sostiene la direttrice, le ha ‘salvate’ raggiungendo lo scopo di ottenere una crescita costruttiva e di collaborazione.

“La maestra deve essere regista non organizzatrice. Deve avere lei la capacità in primis di osservazione immediata per captare le attività, le necessità e successivamente far riportare ai bambini su carta le considerazioni ottenute.

Con le classi organizzate i bambini sanno già dove andare e sono curiosi di sapere cosa faranno quella mattina. Un esempio molto bello sono i numeri: non avevamo considerato che le case avessero i numeri, così siamo andati in passeggiata e da lì abbiamo scoperto che ogni casa ha un numero, come sono questi numeri, se solo una cifra o doppi, il perché, l’ordine crescente e decrescente, ed in men che non si dica avevamo anche fatto educazione civica. I bambini ci danno l’input per il giorno dopo, li porti a ragionare e ne hanno molto bisogno in questo momento storico. Sono troppo abituati al ‘tocco e risposta’, ad avere la risposta facile dai cellulari senza osservare e ragionare. Altro esempio, l’osservazione di una mela. Da una semplice mela ci lavoriamo un mese. Cos’è una mela? Si mangia? È buona? Di che colore è? Quali sono le sue dimensioni? Dentro ci sono i semi, cosa sono? Andiamoli a piantare! Ed ecco che abbiamo creato il nostro orto! E’ importante seguire un ragionamento, si va a stimolare la curiosità scaturita da un obiettivo primario e da quella curiosità nascono nuovi percorsi e programmazioni.”

Una generazione con ritmi frenetici, una importa che nasce già nei più piccoli, fin dalla nascita. Informazioni che si assimilano inevitabilmente e plasmano l’essere umano di domani. “Abbiamo avuto all’inizio dell’anno l’arrivo di bambini ‘piatti’, avevano bisogno di essere rassicurati. Ci dicevano ‘non sono capace’ e nei loro occhi leggevi la paura di sbagliare, la paura di provare e ci siamo subito chieste ‘Cosa significa per un bambino così piccolo “non ne sono capace”? Ci abbiamo lavorato e le cose ora vanno molto meglio ma ci rendiamo conto che è una generazione insicura, mancano quei semplici momenti di vissuto tra loro. Anche un semplice litigio è educativo, non è da interrompere ma gestito, serve a capire il perché di determinati comportamenti, imparare a chiedere scusa.”

Una fotografia che ritrae bambini chiusi, introversi, impauriti e, secondo l’educatrice, gioca un ruolo fondamentale la famiglia di origine che è a sua volta superficiale ai bisogni dei più piccoli, sfuggente.

C’è bisogno quindi di tempo di qualità, di coccole, di assaporare le piccole cose insieme. I primi anni di vita del bambino sono le basi per il suo futuro. I momenti con i propri figli o propri genitori, si sa, sono attimi che non tornano più. Il bambino ha bisogno di inserire il genitore in una realtà che è sua, come quella scolastica, staccata da momenti ordinari in famiglia. La scuola San Vincenzo al suo interno ha molta cura per i dettagli, una scelta di arredi e attività di giorno e didattiche ricercate nelle piccole cose come materiali di riciclo o naturali ed inseriti nel quotidiano dando loro nuova vita. In questo modo i bambini imparano a non lasciare nulla al caso e che si può apprendere insegnamento anche da qualcosa si semplice e apparentemente banale. Lente di ingrandimento alla mano, fateli scoprire il mondo.

 

Laura San Brunone

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