Con un colpo di spugna, Erika Stefani, ministro per gli Affari Regionali, ha cancellato l’innovazione di Laura Boldrini, ex presidente della Camera, che nelle ‘carte’ e nei colloqui di Palazzo Chigi, aveva inserito il femminile per ogni termine che indicasse il ruolo.
‘Addio’ quindi a ‘presidenta’, ‘ministra’, ‘sottosegretaria’ e ‘sindaca’, proprio per volere di una donna. Nelle sue comunicazioni ufficiali, Erika Stefani infatti, vuole si scriva ‘il signor ministro Erika Stefani’.
E non si tratta assolutamente di maschilismo, ma di un ritorno alla lingua italiana tradizionale e volerci vedere discriminazioni di genere sarebbe fuori luogo.
E non è l’unica a pensarla così. A Thiene, il vicesindaco Maria Gabriella Strinati, professoressa di lettere, ha spiegato: “Sono d’accordo con il ministro Erika Stefani, anche io sono per le forme maschili. Non ci vedo nessuno svilimento per le donne, anzi, l’utilizzo al maschile del termine secondo me rafforza proprio il concetto di capacità della donna di ricoprire anche ruoli di potere che per tradizione e cultura vengono identificati come ruoli maschili. Presidente, ministro, sindaco, giusto per prendere qualche esempio, sono nate storicamente come figure maschili – ha spiegato Maria Gabriella Strinati – Ruoli che, un tempo, le donne non potevano ricoprire in quanto il potere spettava all’uomo. Per questo i termini in questioni sono stati istituzionalizzati al maschile. Oggi, a maggior ragione, le donne valorizzano queste parole, perché significa che possiamo ricoprire anche ruoli maschili. Volere a tutti i costi sottolineare la differenza di genere, con parole come ‘ministra’ e ‘sindaca’, non dà nulla di più a noi donne. Quello che conta è la sostanza, non il termine. E se proprio vogliamo dirla tutta – ha concluso – di mezzo ci sono anche questioni grammaticali e di storia della lingua”.
A.B.