Gentile Direttore,
La violenza nei pronto-soccorso e nelle sedi di guardia medica, le aggressioni ai sanitari suscitano l’interesse della politica quando diventano fatti di cronaca. Solo allora ci si premura di intraprendere soluzioni d’urgenza, raffazzonate, che più che essere utili per le vittime del sistema riempiono di titoloni le prime pagine dei quotidiani. Ma si è mai chiesta la politica, si sono mai chiesti gli amministratori quali sono le cause del fenomeno crescente che mina la sicurezza dei lavoratori della sanità nel settore dell’urgenza e dell’emergenza? Da molti anni la politica sanitaria delle compagini di governo che si sono avvicendate ha tagliato in modo trasversale le risorse del SSN: riducendo posti letto negli ospedali e nelle altre strutture di ricovero, stremando il personale con il blocco del turnover, chiudendo molte sedi di pronto-soccorso. Si è così progressivamente compromessa la capacità del SSN di dare risposte adeguate alla crescente domanda di salute che l’emergenza pandemica ha drammaticamente slatentizzato.
Nel territorio i medici sono insufficienti, già gravati da una asfissiante burocrazia che uccide la professione devono ora farsi carico di massimali crescenti di assistiti. I pronto soccorso pesantemente ridotti di numero devono assorbire un progressivo, esponenziale, numero di accessi dal territorio, incapace di fornire risposte adeguate, e non riescono a smistare in tempi accettabili i pazienti che necessitano di ricovero perché non ci sono posti letto e personale. Un imbuto disorganizzato, una miscela esplosiva che esaspera gli animi degli utenti che riversano il loro disagio sugli attori ultimi del sistema. Quando il background culturale scadente e la disinformazione coincidono allora il disagio si trasforma in aggressività. Non saranno i demagogici provvedimenti tampone che la politica adotta per arginare il dissenso elettorale che risolveranno la grave criticità in cui versa il SSN. Manca, infatti, una visione complessiva del problema e la conoscenza della realtà lavorativa, si decreta in modo autoreferenziale senza interfaccia con chi fà il mestiere snobbando le associazioni di categoria.
Non ci saranno soluzioni all’agonia del Servizio Sanitario Pubblico senza una revisione complessiva dell’architettura organizzativa del SSN che richiama la tanto millantata integrazione ospedale – territorio.
I mali che affliggono la sanità pubblica sono noti e ormai cronici: carenza di personale medico e infermieristico che incide sui tempi di erogazione delle prestazioni e sulla qualità dell’assistenza;
impoverimento delle professioni sanitarie; condizioni di lavoro usuranti e bossing che rendono poco attrattivo il lavoro nel pubblico; migrazione delle professioni sanitarie all’estero che offre maggiori remunerazioni e opportunità di carriera; inquinamento burocratico della professione medica con svuotamento della mansione clinica.
Demotivare e usurare il personale che rappresenta il patrimonio più prezioso del SSN è una grave responsabilità della politica degli ultimi 20 anni che si deve riscattare migliorando le condizioni economiche e di lavoro e riappropriando al personale la governance del sistema.
Il sindacato rappresenta da questo punto di vista un interlocutore affidabile nella sua pluralità rappresentativa, trasversale a tutti i settori di attività, gli deve essere tuttavia riconosciuto un ruolo partecipativo nelle sedi decisionali e non un mero ruolo consultivo.
Se, invece, l’obiettivo è la privatizzazione della sanità pubblica allora anche i fatti di cronaca ben manipolati possono essere utili!
Alberto Pozzi
Presidente Regionale Veneto Sindacato Medici Italiani (SMI)