Cittadinanza onoraria a Giuseppina Bakhita, la ‘santa moretta’ nata in Sudan, venduta come schiava e arrivata a Schio nel 1902, nel convento delle Canossiane, dove visse per il resto della sua vita.
La decisione di onorare la memoria di Bakhita con la cittadinanza onoraria è stata siglata dai capigruppo consigliari, per sottolineare come la santa abbia operato nell’interesse della comunità e si sia distinta con il suo fare del bene al prossimo e l’onoreficienza sarà assegnata martedì 28 novembre con l’approvazione in consigliocomunale.
“Sta giungendo a conclusione l’anno in cui si è celebrato il 70° anniversario della morte della Santa, avvenuta a Schio l’8 febbraio del 1947 – spiega Valter Orsi, sindaco di Schio – Un momento di ricordo e condivisione con la cittadinanza sulla sua figura e sui valori che si possono trarre dalla sua esperienza di vita, sia umana che religiosa, era già stato previsto in occasione della cerimonia degli auguri di Natale alla cittadinanza, che si svolgerà il 16 dicembre prossimo. Il comitato che porta il suo nome, da 10 anni si impegna, con l’amministrazione comunale, per sostenere progetti di solidarietà in Sudan, paese dilaniato dalla guerra. Santa Giuseppina Bakhita è sempre più conosciuta nel mondo, anche come la santa di Schio, oltreché sorella universale e numerose sono le testimonianze di affetto e devozione di cui siamo a conoscenza: da ultimo il romanzo ‘Bakhita’, della scrittrice francese Véronique Olmi, che ripercorre la sua storia, ma, soprattutto, le tante persone che vengono a Schio per pregare e visitare i luoghi in cui lei è vissuta. Ed ora – conclude il primo cittadino – a coronamento delle celebrazioni per il 70° anniversario della morte, con l’intenzione di onorare e ringraziare Santa Giuseppina Bakhita, che tanti nel mondo riconoscono come la Santa di Schio, le conferiamo la cittadinanza onoraria, ritenendo un privilegio per la nostra città annoverare fra gli scledensi questa donna che tanto ha dato alla nostra comunità, e tanto sta insegnando ancora oggi con il suo ricordo e i suoi valori, in tal modo interpretando anche i sentimenti dell’intera nostra collettività”.
La storia di Bakhita
Giuseppina Bakhita nacque intorno al 1869 in Sudan. A 7 anni fu rapita da mercanti arabi di schiavi e fu rivenduta più volte, fino ad essere comperata dal console italiano, che l’acquistò con lo scopo di renderla libera.
Nel frattempo Bakhita subì violenze e traumi profondi, tanto da perdere completamente la memoria del suo nome e della sua famiglia e sarà costretta a convivere per sempre con profonde cicatrici causate dalle torture che le furono inflitte.
Bakhita fu portata in Italia, prima a Mirano e poi a Schio, dove, nel 1889, la ragazza fu dichiarata libera in quanto lo stato italiano non riconosceva la legge della schiavitù.
Il 9 gennaio 1890 entrò nel convento delle Canossiane, dove ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana e nel 1896 pronunciò i primi voti religiosi.
Nel 1902 fu trasferita in un convento dell’ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della prima guerra mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l’incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli scledensi ‘Madre Moréta’.
A.B.