Dopo la protesta degli studenti di Schio contro la Dad, con alcuni ragazzi che a cadenza regolare si trovano per fare lezione davanti al Faber Box, sabato 16 gennaio è stata la volta delle scuole di Thiene, con i ragazzi che si sono dati appuntamento in zona Bosco, nel grande piazzale dove hanno ‘allestito’ un a grande aula.
Cinquanta studenti tra i due Comuni, per dire ‘no’ alla didattica a distanza e dare un segnale chiaro di voler vedere partire con effetto immediato i lavori per tornare in classe.
“In questo momento in cui la situazione epidemica si è pesantemente aggravata, non pretendiamo un rientro a scuola immediato, ma chiediamo si lavori da subito per realizzare interventi concreti che affrontino i problemi fin qui trascurati – hanno spiegato gli studenti, che non ci stanno più ad essere trattati come palline che vengono lanciate all’ultimo momento – Chiediamo che si lavori per un servizio di trasporto pubblico degno di tale nome, dove sia rigidamente rispettato il limite di capienza del 50% dei posti a sedere. Chiediamo sorveglianza sanitaria più chiara e coerente, in quanto nei primi mesi di scuola, sono state attuate delle procedure apparentemente poco consone ad un’adeguata prevenzione del contagio. Chiediamo si inizi a lavorare da subito ad una riduzione del numero di studenti per classe e ad una riqualificazione degli spazi disponibili. Parallelamente alla riduzione dei numeri nelle classi è necessaria ora una messa a disposizione di nuovi spazi, attingendo a quelli già esistenti e al momento privi di destinazione che potrebbero essere adibiti alle attività scolastiche”.
I ragazzi, appoggiati da alcuni insegnanti e genitori, hanno voluto andare oltre, scrivendo anche toccanti parole per esprimere quello che la scuola rappresenta per i giovani.
La lettera
“Alzare la testa per guardare lontano. Con il suo enorme fardello di lutti, questa pandemia ha messo in luce iniquità, contraddizioni e fragilità del sistema economico e sociale in cui viviamo. Per quanto riguarda la scuola, la mancata attuazione delle misure che avrebbero consentito agli istituti superiori e alle università di evitare, o quantomeno di limitare fortemente, il ricorso alla didattica a distanza, dimostra ancora una volta in quale considerazione sia tenuto il sistema scolastico nel nostro Paese. La scuola infatti è, alternativamente, un vessillo da sventolare per qualche settimana o una voce di spesa da comprimere, oggetto per decenni non di investimenti ma di tagli, coerentemente con un pensiero che considera lo studio, e quindi la Scuola e la cultura stessa, non come un’umana necessità ma come un’improduttiva perdita di tempo di cui ricordarsi soltanto nel momento in cui è funzionale ad altro; prova ne è la decisione di tenere chiuse solo le scuole superiori, con il pretesto che “un’aula scolastica è terreno fertile per il virus”. Se così fosse, sarebbe logico e doveroso chiudere anche le scuole materne, elementari e medie, ma questo non è ancora stato fatto perché altrimenti i genitori che lavorano non saprebbero dove lasciare i propri figli. In tale contesto i provvedimenti che riguardano la scuola sono sempre più guidati da una logica tecnocratica ed aziendalistica che tende a trasformarla in mera appendice del sistema economico, stravolgendone così il ruolo più importante: quello di crescere cittadini consapevoli, abituati al dialogo e al confronto, in grado di ragionare in maniera critica, dotati di strumenti culturali che permettano loro di leggere la complessità del mondo reale e di costruire un proprio pensiero autonomo (anche se forse un futuro bacino di elettori e consumatori in grado di ragionare potrebbe dar filo da torcere a qualcuno). La convinzione che per le scuole superiori la didattica in presenza sia sacrificabile si basa inoltre sugli errati presupposti che la DAD possa sostituire la didattica in presenza e che gli studenti della scuola superiore siano comunque in grado di reggerla. Dopo quasi un anno di didattica a distanza i risultati negativi sull’apprendimento sono evidenti, così come le pesanti conseguenze sul piano psicologico e relazionale in una generazione la cui mancanza di socialità sta alimentando un senso profondo di instabilità e di pessimismo nei confronti del futuro. L’esperienza dello scorso anno scolastico non è dunque bastata per far capire che il ricorso alla DAD è accettabile solo in contesti di emergenza assoluta, quando cioè tutto il resto ha già chiuso e l’impossibilità di mantenere aperte le scuole è evidente. E’ dunque una responsabilità politica enorme quella di chi ha ritenuto che non valesse la pena di realizzare quegli interventi, come trasporti, ampliamento spazi, efficace sorveglianza sanitaria, che avrebbero potuto assicurare a tutti gli ordini di scuola la didattica in presenza. Pensiamo che questo sia il momento di alzare la testa e pretendere soluzioni che non solo assicurino il ritorno in presenza in sicurezza, ma soprattutto conducano a ripensare alla scuola stessa, rivalutandola e attribuendole quella dignità che merita. Un nuovo inizio, se lo vorremo, una pagina tutta da scrivere tenendo conto di quanto abbiamo faticosamente appreso”.
di Redazione Altovicentinonline