Tra gli oltre 4500 emendamenti presentati per modificare la legge di Bilancio 2020, ce n’è uno, presentato dal M5S, che sicuramente troverà il parere favorevole di molti italiani. Si parla del pagamento dell’Imu-Ici anche per la Chiesa Cattolica e i propri immobili adibiti a bar, ristoranti, alberghi e ospedali.

Firmata da Elio Lannutti, sottoscritta da 76 senatori grillini, la proposta pentastellata di modifica alla Finanziaria chiede “che la Chiesa paghi per tutti quegli esercizi commerciali che fanno pagare per la prestazione del servizio offerto o anche all’erogazione di servizi ospedalieri o sanitari a pagamento in percentuale pari o superiore al 30% rispetto al fatturato complessivo dell’azienda”.

Non solo, sempre nell’emendamento Lannutti si imporrebbe a tutte e associazioni o le società legate alla religione cattolica e le congregazioni religiose che fanno capo alla stessa confessione il cui fatturato è pari o superiore a 100.000 euro annui, l’obbligo di farsi convalidare il proprio bilancio da un certificatore esterno tra i professionisti del settore. In caso di infedele convalida, tale certificatore verrebbe punito con una condanna da 3 a 5 anni di reclusione.

E l’emendamento destinato a riavviare lo scontro tra Chiesa e Stato italiano, chiede inoltre che la Cei saldi gli arretrati non versati tra il 2006 e il 2011, quando ovvero l’Ici-Imu venne riconfermata dallo Stato e sui quali anni pende la sentenza della Corte Ue del tutto “contro” la Chiesa («l’Italia recuperi tasse non pagate»). La misura-stimano i Cinquestelle – sarebbe in grado di produrre risorse per 5 miliardi.

Qualche domanda sui costi della Chiesa

La Chiesa, sappiamo bene, è ricchissima, ma ha anche i suoi costi notevoli. Tra questi ci sono anche gli stipendi degli ecclesiastici. Già, perché come ogni lavoratore, anche chi lavora al servizio di Dio va pagato. Ma anche lì, ovvio, c’è una gerarchia, secondo il ruolo ricoperto all’interno della grande ‘azienda’ cattolica.

Partiamo dal basso, facendo, però, una prima distinzione tra preti e parroci. In una parrocchia possono esserci più preti, ma uno solo, il parroco, è il responsabile della parrocchia: a lui vanno 1200 euro circa di stipendioIl prete, invece, dovrà accontentarsi di una somma vicina ai 1.000 euro. Sembrerebbero pochi, ma se a questo si aggiunge che sono tutti ‘casa e chiesa’, vale a dire non pagano affitto, né bollette o tasse ad esso collegate, e considerando che ”di vizi manco a parlarne” (almeno in teoria) e famiglia da mantenere non ne hanno, possono campare bene. Va detto però che se preti e parroci, oltre il loro ruolo primario svolgono anche altri lavori, ad esempio insegnano religione, percepiscono un normale stipendio da insegnante e poi gli verrà versata solo la parte mancante per arrivare all’intera cifra di reddito prevista per loro.

Saliamo nella scala gerarchica-ecclesiastica: vescovi, arcivescovi, cardinali e monsignori. Qui, appare logico, aumentano stipendi e anzianità di servizio. Un vescovo tocca i 3mila euro al mese; un cardinale ne intasca 5000, più vari bonus.

Infine Lui, il rappresentante di Dio in Terra: il Papa. Ma che, vogliamo fare i conti in tasca al Papa? Niente stipendio per la massima carica della Chiesa: ha libero e diretto accesso a un istituto che raccoglie donazioni ogni 29 giugno (l’Obolo di San Pietro).

Ma tornando ai ‘gradini bassi’ della scala ecclesiastica, c’è poi un ambito dal quale certo non ci aspetterebbe una diseguaglianza tra sessi così macroscopica, proprio laddove il “siamo tutti figli di Dio” dovrebbe rappresentare l’apriporta: parliamo delle suore.

Per le suore niente stipendio. Lavorano l’orto, cucinano, badano agli orfani, puliscono, ma non hanno diritto a una paga. Tranne che non svolgano altri lavori. Insegnanti, infermieri o altre attività. In questo caso percepiscono uno stipendio normale, derivante dai contratti collettivi di lavoro, esattamente come ogni civile che lavori.

Ma chi paga basse e alte sfere della Chiesa?

Non è lo Stato a farsi carico di questi stipendi e neanche, in modo diretto, il Vaticano. E’  la Cei, precisamente l’Istituto centrale per il sostentamento del clero (Icsc), un organo della Cei, cui però spetta  il compito di stabilire le soglie di reddito che ogni persona che ricopre un ruolo ecclesiastico deve percepire. Al raggiungimento di questa soglia contribuisce ogni entrata (altri lavori, incarichi speciali, ecc).

Ma l’economia di questo Istituto centrale per il sostentamento del clero su cosa è basata? Su donazioni libere dei cittadini e su una percentuale di 8×1000.

In pratica, una buona fetta dei proventi della Chiesa cattolica derivanti dall’8×1000 servono a finanziare le attività di questo istituto per il sostentamento del clero. Quindi una parte del nostro 8×1000 in dichiarazione serve a coprire gli stipendi di preti, vescovi e cardinali. Nel 2012 ha ricevuto 1 miliardo 148 milioni 76 mila e 594 euro, di cui 117.430.056 euro a titolo di conguaglio per l’anno 2009 e 1.030.646.537 euro a titolo di anticipo dell’anno 2012.

E’ lo Stato italiano, invece, a pagare gli stipendi dei preti militari, che sia chiaro non vanno in guerra come fossero soldati, ma operano al servizio delle forze armate italiane. Essendo chiamati a dare conforto spirituale ai cattolici militari, sono a tutti gli effetti arruolati nelle forze armate e considerati ufficiali. Il loro stipendio è quasi equiparato a quello di un cardinale: oltre 4mila euro al mese. Più di un vescovo.

Un bel salto rispetto ai ‘colleghi’ della parrocchia. Ma sarà perché operano in zona di guerra, e dunque sono a rischio; sarà perché, stavolta, a pagare siamo noi (Stato italiano), tant’è.

Il M5S ha presentato un emendamento per far pagare alla Chiesa le tasse che tutti noi paghiamo. Ci sta, ci sta… speriamo passi.

P.V.

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