Il nuovo meccanismo di distribuzione degli aiuti promosso da Israele nella Striscia di Gaza “va visto in ottica dinamica, come fosse il fermo immagine di un film: mentre l’operazione militare ‘Carri di Gedeone’ prosegue da nord, occupando sempre più aree, la popolazione viene spinta a sud. Ed è qui che sorgono tre dei quattro punti di distribuzione: una zona compressa – che equivale a un quarto della Striscia – dove i civili potrebbero essere presto intrappolati”. Esprime così “forte preoccupazione” all’agenzia Dire Paolo Pezzati di Oxfam Italia, tra le 55 organizzazioni umanitarie operanti nella Striscia di Gaza, che dal 21 maggio si trovano a fare i conti col nuovo meccanismo imposto da Israele.

“CAOS PER FAME E DISPERAZIONE”

Un piano annunciato e ora messo in atto da ieri, e che nel pomeriggio ha fatto registrare momenti di caos nel centro di Tal as-Sultan, nell’area meridionale di Rafah: “Ecco cosa fame e disperazione possono fare” riferisce il corrispondente di Al Jazeera sul terreno. Dal 2 marzo, Israele ha bloccato l’ingresso di qualsiasi prodotto a Gaza sostenendo che finissero nelle mani di Hamas, e oggi, pare a causa delle lunghe file che si sono formate in attesa di ricevere pacchi alimentari, sotto il sole, con temperature già estive, la gente ha assaltato il centro. I media riferiscono che militari hanno sparato in aria diversi colpi per disperdere la sommossa.

GAZA HUMANITARIAN FOUNDATION, COSA È E COSA C’È DIETRO

Al nuovo sistema israeliano collaborano due organismi: da un lato, l’esercito presidia alla sicurezza delle operazioni, dall’altro lavorano gli operatori della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), un consorzio di contractor specializzati nell’ambito della sicurezza, voluta da Stati Uniti Israele, già oggetto di scandali. Primo, perché domenica – alla vigilia della sua operatività – il suo direttore Jake Wood, ex marine americano a capo da anni di una propria ong, si è dimesso, denunciando l’impossibilità di lavorare rispettando i principi umanitari “di umanità, imparzialità e indipendenza”. Secondo, perché la Svizzera, Paese dove la Ghf è registrata come “ong”, ha annunciato controlli: le sue linee di finanziamento non sembrerebbero chiare. Terzo, perché la Ghf punta a rimpiazzare il capillare meccanismo degli aiuti gestito dalle Nazioni Unite in partnership con decine di ong. È questo il punto più drammatico secondo Pezzati: “Rimpiazzare i 400 punti esistenti con soli 4, che distribuiscono solo cibo, significa innescare la catastrofe”.

“GHF, UN INSULTO AL MONDO UMANITARIO”

Pezzati continua denunciando che al momento, la Ghf sarebbe stata messa in piedi per distribuire soltanto cibo: “Non è chiaro come e se sarà distribuito il resto”. Ancora Al Jazeera sostiene che nella giornata siano stati consegnati ai civili 8mila pacchi alimentari, pari presumibilmente a 462mila pasti: meno di un quarto di quanto necessario a una popolazione di 2,2 milioni di persone.
“Oxfam coi partner locali sta distribuendo ciò che resta delle nostre scorte che non vengono rimpinguate dal 2 marzo” avverte Pezzati. “Ma la Ghf- prosegue- che distribuisce solo pasti, è un insulto al mondo umanitario. Inoltre ad oggi sarebbero entrati circa 400 camion di aiuti, di cui solo un quarto sarebbe stato effettivamente distribuito, di questo- evidenzia il referente Oxfam- nessuno è arrivato nel nord”. Nelle cartine diffuse dall’esercito, tre dei quattro centri di distribuzione si concentrano a Rafah, nel sud, mentre il quarto si trova ad Al-Bureij, nel centro.

ANCHE I TIR SACCHEGGIATI

“I due tir che hanno cercato di raggiungere il nord sono stati saccheggiati” avverte Pezzati. Si rincorrono sulla stampa internazionale notizie di saccheggi messi in atto da persone disperate, ma anche bande organizzate slegate da Hamas, come conferma l’esercito di Tel Aviv. Tra queste, una sarebbe capeggiata da Yasser Abu Shabab che, come scrive la testata Haaretz, ha scontato il carcere per reati penali sotto la giurisdizione di Hamas, che lo considera un “terrorista”.

L’USO DI TECNOLOGIA BIOMETRICA, I RISCHI

Al tempo stesso gli organismi umanitari sono preoccupati per l’uso di tecnologia biometrica per identificare le persone che ritirano gli aiuti – un sistema pensato per catturare i “ricercati” – ma anche il fatto che, dice Pezzati, “questi centri di distribuzione recintati diventino luoghi in cui la popolazione possa rimanere intrappolata, in una fase successiva“. Vale a dire, quando il meccanismo umanitario previsto dalle Nazioni Unite e dalle risoluzioni Onu sarà completamente sostituito da quello israeliano, e quando l’operazione di terra avrà consolidato l’occupazione portando a termine “l’annunciata pulizia etnica”.

L’APPELLO: “L’ITALIA NON SIA COMPLICE”

Conclude il referente di Oxfam: “La nostra rete continua a chiedere ai governi di denunciare il meccanismo di Israele, facendo sì che si ritorni agli aiuti sotto il cappello del diritto internazionale. All’Italia chiediamo di non essere complice e di intraprendere azioni e dichiarazioni pubbliche più decise, anche per fermare l’offensiva militare”.

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