Quattro ore di sciopero in tutte le aziende metalmeccaniche il 7 luglio nelle regioni del centro-nord (Lazio esclusa) e il 10 luglio nelle regioni del sud con presidi, manifestazioni e discussioni collettive per “lanciare un grido nel Paese: l’industria metalmeccanica in Italia è a rischio, la transizione ecologica, energetica e tecnologica deve essere socialmente sostenibile, le lavoratrici e i lavoratori possono e devono essere protagonisti di questo processo”. Lo hanno deciso Fiom, Fim e Uilm, spiegando che lo scipero serve a “spingere il governo ad agire, per costruire le basi di un vero confronto e per rilanciare il futuro del settore metalmeccanico”. I sindacati sottolineano che “sono anni che il nostro Paese vede ridursi la base produttiva e, nell’attuale fase di grandi trasformazioni e di processi di transizione ecologica, digitale, energetica e tecnologica, sono mancati da parte della politica e dei governi gli orientamenti e le scelte sui temi del lavoro e dell’industria metalmeccanica”. Quindi, “sono sempre più urgenti interventi di politica industriale che ancora non si vedono da parte del governo e senza i quali si rischiano di peggiorare la condizione economica, industriale e sociale del Paese, già caratterizzate da prospettive di particolare incertezza”. Insomma, incalzano i metalmeccanici, “è necessario rimettere al centro il lavoro nell’industria metalmeccanica e impiantistica”.
LE RICHIESTE DEI SINDACATI
Queste le richieste alla base della mobilitazione delle sigle: apertura di tavoli di confronto con le parti sociali sulle questioni e sulle filiere metalmeccaniche al centro delle difficoltà industriali, incremento e confronto sugli investimenti pubblici e privati nei settori strategici con le necessarie garanzie occupazionali, reindustrializzazione delle aree in crisi, con piani di sviluppo territoriale che garantiscano l’occupazione; impegno comune al confronto in sede ministeriale per l’attuazione del PNRR, come motore di sviluppo industriale attraverso piani di investimenti nel settore metalmeccanico; un piano di reshoring nei settori strategici per accorciare le catene di fornitura, riforma degli ammortizzatori sociali, con l’introduzione di strumenti specifici per una transizione giusta: incentivazione di contratti di espansione e di solidarietà, finalizzati alla riduzione degli orari di lavoro e all’occupazione giovanile; sostegno del reddito da lavoro; promozione della formazione per le nuove competenze e la riqualificazione; valorizzazione del sistema universitario e tecnico pubblici, degli ITS; intervento per aumentare la dimensione d’impresa, superare il massimo ribasso negli appalti e stabilizzare il lavoro precario.
UILM: 70.000 POSTI A RISCHIO NELL’AUTOMOTIVE
Sono 70 mila i lavoratori interessati da crisi aziendali aperte al ministero delle Imprese e del Made in Italy, di cui oltre 50 mila sono metalmeccanici (70%). È quanto si legge in un report della Uilm, presentato dal segretario Rocco Palombella. Il sindacato dei metalmeccanici segnala poi che “ci sono 70.000 posti a rischio nel settore automotive in caso di mancata gestione della transizione ecologica”. La situazione più generale delle crisi vede questi dati: nel 2019, secondo dati ufficiali del ministero dello Sviluppo economico, erano aperte al ministero 149 crisi aziendali che interessavano oltre 200.000 lavoratori. Nel 2022, dopo la pandemia le crisi aziendali erano scese a 70 (56 attive e 14 di monitoraggio), per un totale di 80-90 mila lavoratori interessati. Arrivando all’oggi, “secondo quanto dichiarato dal ministro Urso, sono aperti al ministero 57 tavoli di crisi, di cui 34 attivi e 23 di monitoraggio. Ricordiamo che le crisi aziendali purtroppo non sono diminuite nel tempo ma il Ministero ha deciso di considerare nel conteggio solamente le vertenze di aziende con oltre 250 dipendenti”, spiega la Uilm. Degli attuali 34 tavoli attivi il 70% (23) riguarda il settore metalmeccanico, mentre dei 23 di monitoraggio circa il 50% (10) riguarda il settore metalmeccanico.