Suicidi, prima causa di morte tra le forze dell’ordine, ma sembra che questo non importi proprio a nessuno.

La parola ‘suicidio’, purtroppo, sta affiorando sovente nelle notizie quotidiane. Vi è un incremento preoccupante del tasso dei suicidi e delle condotte suicidarie nei militari delle Forze Armate e delle Forze di Polizia. In ambito Difesa, gli Organi preposti hanno intrapreso differenti iniziative per monitorare il benessere bio-psico-sociale del personale dipendente, ma affinché si possa arginare il fenomeno suicidario e supervisionare in maniera capillare tutti i militari, la strada è ancora lunga e tortuosa, e non bisogna arenarsi, nemmeno un istante”. Così il SIUM Esercito in un post su Facebook con l’obiettivo di “accendere i riflettori su un fenomeno che ha visto in questi ultimi giorni un incremento di tragici episodi nella Forza Armata Esercito”.

Per il SIUM “è importante che il Dicastero sia attivo nella campagna di prevenzione e che interessi l’opinione pubblica affinché tutta la rete sociale di uomini e donne in divisa sia sensibilizzata, e i militari, fino ai minimi livelli ordinativi, vengano supportati e possano essere parte attiva di “cordoni protettivi e preventivi” nei confronti dei colleghi. I dati emersi da studi nazionali e internazionali mettono in evidenza quanto il comportamento suicidario sia complesso e multifattoriale. Le cause di chi non ha più speranza non hanno solo una matrice psichiatrica, ma vanno ricercate in svariati ambiti; la sfera familiare riveste indubbiamente un pilastro fondamentale, e lo spezzarsi di equilibri intimi nel ramo familiare può far insorgere disturbi e problematiche di vario genere. Anche l’isolamento sociale e precarie condizioni economiche possono avere ripercussioni sull’equilibrio mentale. Spesso, invece, la sfera lavorativa viene sottovalutata perché si pensa che il sistema sia infallibile. Bisogna iniziare a prendere in considerazione che si possa creare anche un “ambiente tossico” e ad alto rischio anche all’interno dell’Organizzazione. Sempre più, la realizzazione personale è in parallelo con quella professionale: il lavoro rappresenta quindi una dimensione etica e di forte valore, che incide in maniera significativa sull’intera organizzazione e sulla vita dei dipendenti”.

“E’ indubbio – si legge ancora nel post – quanto la dimensione del benessere/malessere individuale sia fortemente legata al contesto lavorativo nel quale i militari si trovano inseriti, e la percezione di tale dimensione è strettamente correlata alle dinamiche interattive e relazionali, ai conflitti emotivi che ne possono scaturire. I conflitti emotivi e sociali in ambienti di lavoro sono segni del tentativo dell’individuo di far fronte a una situazione di disagio psicologico e interpersonale. L’osservatorio suicidi in divisa (ODS) raccoglie segnalazioni di familiari e colleghi con il nobile fine di porre maggiore attenzione al fenomeno, individuando e segnalando le differenti casistiche. Gli individui che compiono questo gesto, rappresentano solo una frazione di quelli che pensano o che arrivano a compiere almeno un tentativo, per questo il monitoraggio e il supporto sono indispensabili per aiutare i militari in difficoltà. Per quanto emerge, bisogna fare una doverosa riflessione tra i suicidi della popolazione civile e i suicidi dei militari. E’ importante riflettere quanto lo stile di vita a confronto tra il militare e un gruppo di controllo civile sia differente, eppure, considerando il rapporto sul suicidio dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, emerge che “l’andamento del fenomeno suicidario nel contesto militare, risulta essere contenuto da un punto di vista numerico rispetto a quanto si riscontra nella popolazione civile”.

Per come è strutturato il sistema militare, “chi si è arruolato è risultato Idoneo al Servizio, superando una serie di test e colloqui che potevano tracciare grossolanamente la propria personalità. Forte del percorso addestrativo e formativo dei militari, il soldato è concepito con un immaginario predefinito e collettivo dalla popolazione civile, diventando una sorta di stereotipo di genere che subisce anche una certa omologazione interna, per la quale chi indossa la divisa dovrebbe avere stili di coping maggiormente adattivi, più resilienza, e un addestramento tale da renderlo più forte. Il militare diventa l’incarnazione dell’uomo forte, massiccio, protettivo, impavido, per il quale i confini sono rigidi e ben definiti, in cui la debolezza non è ammessa. E’ indubbio che l’addestramento e il rigore militare siano forgianti nella personalità del soldato, nella sua prontezza e nella sua efficacia ed efficienza operativa, ma è anche vero che chi ha la divisa è prima di tutto un uomo o una donna, con tutte le debolezze, emozioni e sensazioni della popolazione generale. Non solo, proprio per l’imprintig inziale che riveste la figura dello psicologo militare, purtroppo, chiedere aiuto a un professionista (per problematiche anche meno gravi) è ancora per molti uno scoglio difficile da superare, perché la richiesta di sostegno potrebbe esporre eccessivamente le debolezze del singolo e comprometterne l’idoneità al servizio”.

“La nostra associazione sindacale – termina il SIUM Esercito – ritiene imprescindibile dover agire in maniera sinergica con tutte le caserme della Difesa, al fine di individuare i fattori di rischio e rafforzare i fattori protettivi, sensibilizzare i militari di ogni ordine e ruolo (partendo dai Comandanti) su come comportarsi nel caso in cui intravedano o percepiscano qualcosa di “strano” e su come chiedere aiuto e supporto psicologico, significando quanto l’agire di tutti non sia una debolezza ma un atto di consapevolezza e forza. Prendere consapevolezza che si possa migliorare è una grande dimostrazione di quanto l’interesse alle risorse umane rimanga una priorità istituzionale. Dietro un militare che si toglie la vita c’è un genitore, un figlio, un fratello, un amico. Per chiunque stia leggendo, e si senta solo, o possa avere pensieri inerenti questo argomento, il Sindacato ricorda il numero verde internazionale 0677208977. Lo sportello di Psicologia del Sindacato mette a disposizione la possibilità di poter ricorrere all’aiuto di professionisti psicologi e psicoterapeuti. Noi ci siamo, e crediamo vivamente si possa fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa”.

Su questo tema, “continueremo le nostre attività di formazione e informazione e chiederemo che vengano riprese le iniziative adottate dalla precedente direzione del Dicastero, quando particolare attenzione veniva posta a questo tema e a altri che riguardavano il personale. Di fronte al silenzio assordante dell’attuale gestione, auspichiamo che il nuovo Ministro prenda a cuore questo tema e si adoperi per trovare delle soluzioni concrete volte a prevenire tali episodi. Come nuova realtà sindacale siamo pronti al confronto con il prossimo Vertice del Dicastero per farci promotori di proposte operative. Ci uniamo al cordoglio delle tre famiglie dei colleghi che ci hanno lasciati”.

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