In seguito ai numerosi articoli apparsi sui giornali locali di questi giorni le scrivo per dimostrarle innanzitutto la mia solidarietà. Perché anch’io lavoro in una scuola professionale e so che dietro il disagio che arriva alla violenza ci sono sempre vite frantumate, storie sbilenche e famiglie in bilico. Perché ho provato grande amarezza di fronte a certe accuse che ha dovuto subire, accuse di chi specula politicamente sulle difficoltà di chi giorno per giorno lavora con passione in questi contesti, di chi semplifica e banalizza, di chi pensa che il bullo non vada integrato ma emarginato, di chi, addirittura, ha improvvisato letture razziali.

Finire nel tritacarne della gogna mediatica, imputata di fronte a giudici arrangiati che sparano sentenze deve essere stato difficile, sicuramente doloroso.

Delle volte di fronte ad alcune situazioni critiche mi sono trovato in difficoltà. Delle volte mi sono sentito inadeguato. Delle volte dopo aver tentato il dialogo, sperimentato la repressione, ritentato il dialogo e riprovato la repressione mi sono sentito inerme. Io amo il mio lavoro, amo spendermi per tentare di ricucire progetti di vita fragili, alle volte mi sembra di essere utile, altre volte meno. Alcune volte mi sembra di non avere né il tempo né gli strumenti per affrontare alcune situazioni. Forse ci vorrebbe uno psicologo, forse ci vorrebbe altro. Non lo so. So solo che cerco sempre di fare il meglio, di creare un rapporto il più possibile empatico con i ragazzi, di parlare con le famiglie, di tenere dei rapporti vivi e costanti con l’Usl.

So che Lei ha fatto tutto ciò che doveva fare e, forse, anche di più. Ha avvertito la Polizia Locale e i Carabinieri. Ha informato il Prefetto. Ha continuato a rapportarsi con l’Usl e i servizi di neuropsichiatria. Ha addirittura collaborato con Primavera Nuova e il Ces che ha messo a disposizione un educatore per una classe difficile. Ha organizzato un corso di formazione per gli insegnanti per affrontare le situazioni più difficili. Purtroppo nessuno ha detto tutto questo.

Il guaio è che si rischia di cadere preda di stereotipi, di essere schiacciati da un’etichetta. Perché le nostre scuole pubbliche non sono solo questo, sono luogo di conoscenza, di integrazione, di accoglienza. Sono il luogo dove si crea comunità, una comunità aperta e di tutti, dove si sperimenta e costruisce cittadinanza. So che la vostra scuola è fatta di professionisti preparati e che è tutt’altro da quello che è emerso in questi giorni sulla stampa. Se ne ha bisogno vorrei aiutarla a ribadirlo.

Il disagio diffuso non è l’espressione di una stortura individuale, ma la punta di un iceberg di una società che dovrebbe iniziare ad interrogarsi. Agli sceriffi improvvisati vorrei dire con il poeta: anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti! A lei che da una vita continua ad impegnarsi con passione, preparazione ed impegno nella scuola dico: continui così! A testa alta.

Prof. Carlo Cunegato

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