Nemmeno il tempo di godersi lo scettro del Comune di Breganze che Manuel Xausa è stato tirato giù dalla poltrona da primo cittadino bruscamente.
Una doccia gelata per lui la sentenza del Consiglio di Stato, che ha disposto che Piera Campana ritorni ad occupare il ruolo di sindaco.
Ecco la senteza del Consiglio di Stato
Pubblicato il 02/11/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3984 del 2020, proposto da Piera Campana, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Manzi, Francesco Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luigi Manzi in Roma, Via. F. Confalonieri, 5;
contro
Manuel Xausa, Silvia Covolo, Maria Teresa Faresin, Ivan Dalla Valle, Matteo Farina, rappresentati e difesi dagli avvocati Vincenzo Sinopoli e Luca Agostinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Daniele Faresin non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di Breganze, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 00358/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Manuel Xausa, Silvia Covolo, Maria Teresa Faresin, Ivan Dalla Valle e di Matteo Farina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli avvocati Gaia Stivali su delega dell’avvocato Luigi Manzi, Enrico Minei su delega dell’avvocato Francesco Rossi, Stelvio Del Frate su delega dell’avvocato Vincenzo Sinopoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- Con sentenza n. 358/2020, pubblicata il 23 aprile 2020, il T.A.R. Veneto ha accolto il ricorso proposto dai signori Manuel Xausa, Silvia Covolo, Maria Teresa Faresin, Daniele Faresin, Ivan Dalla Valle, Matteo Farina contro il verbale di proclamazione degli eletti del 27 maggio 2019, relativamente al rinnovo del Consiglio Comunale e all’elezione del Sindaco del Comune di Breganze a seguito delle elezioni amministrative tenutesi in data 26 maggio 2019.
All’esito delle operazioni di scrutinio sono stati attribuiti alla lista “Breganze Attiva”, con candidato Sindaco Piera Campana, n. 2186 voti, e alla lista “Rinnovamento per Breganze”, con candidato Sindaco Manuel Xausa, n. 2181 voti.
In particolare, il giudice di primo grado ha dichiarato nulle n. 56 schede elettorali conteggiate, in sede di operazioni elettorali, a favore della lista “Breganze Attiva” e del relativo candidato Sindaco Piera Campana, ed accomunate dal fatto di riportare nello spazio destinato all’espressione dei voti di preferenza per la lista in questione anche l’indicazione di persone non candidate in alcuna lista elettorale, in violazione del divieto di far riconoscere il proprio voto stabilito dall’art. 64 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570.
In particolare, si tratta dei nominativi dei signori “Parise”, “Poncato”, “Silvestri” e “Francesco Faresin”: tutti indicati dalla lista in questione come assessori comunali in caso di vittoria elettorale, e i cui nominativi erano presenti, insieme a quelli dei candidati consiglieri comunali, nel pieghevole predisposto e distribuito agli elettori.
Il T.A.R. ha conseguentemente disposto la correzione dei risultati elettorali nei termini seguenti: “attribuzione alla lista “Breganze Attiva”, con candidato Sindaco Piera Campana, di 2130 voti in luogo dei 2186 riconosciuti in sede di operazioni elettorali, e con conseguente vittoria della lista “Rinnovamento per Breganze”, con candidato Sindaco Manuel Xausa, che ha riportato 2181 voti. In considerazione di quanto sopra, va proclamato eletto alla carica di Sindaco Manuel Xausa e, dal momento che alla lista collegata al candidato eletto Sindaco vanno riconosciuti n. 8 seggi, vanno proclamati eletti alla carica di Consigliere comunale Silvia Covolo, Maria Teresa Faresin, Daniele Faresin, Ivan Dalla Valle, Matteo Farina, Massimo Stefani, Richard Sperotto, Marco Bon, per la lista “Rinnovamento per Breganze”. Mentre alla lista “Breganze Attiva” vanno riconosciuti n.4 seggi e vanno proclamati eletti alla carica di Consigliere comunale Piera Campana, Anna Brian, Chiara Pigato, Francesco Crivellaro”.
- Con ricorso in appello notificato e depositato il 22 maggio 2020, la signora Piera Campana ha impugnato l’indicata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, i signori Manuel Xausa, Silvia Covolo, Maria Teresa Faresin, Ivan Della Valle, Matteo Farina .
Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 29 ottobre 2020.
- Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione con cui gli appellati deducono, ai sensi dell’art. 101 cod. proc. amm., l’“Inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi e per mancata impugnazione di tutte le ragioni a fondamento della sentenza appellata”.
3.1. Un primo profilo dell’eccezione concerne il preteso difetto di specificità dei motivi: “occorre innanzitutto rilevare come nel corpo dell’atto di appello non si rinvenga traccia di concrete e puntuali contestazioni in merito alla “insufficienza” o, addirittura, “carenza” della motivazione della sentenza impugnata”.
Tale asserzione è infondata per tabulas, dal momento che l’appellante ha specificamente proposto profili di censura contro le ragioni sulla base delle quali la sentenza impugnata ha accolto il ricorso di primo grado, come la stessa memoria degli appellati, nell’argomentare l’eccezione in esame, finisce testualmente col riconoscere: “i sub-motivi n. 2.1, 2.2 e 2.4, costituiti da una confusionaria commistione di allegazioni in punto di fatto e di diritto, sono, in realtà, tutti e tre riconducibili ad un’unica censura e, cioè, che il TAR avrebbe errato a non accogliere l’eccezione di controparte secondo cui i voti espressi in modo anomalo, oggetto di contestazione, dovevano considerarsi giustificabili in considerazione di un involontario errore, in cui sarebbero caduti alcuni elettori, di ritenere eleggibili come consiglieri comunali gli ipotetici assessori esterni che avrebbero dovuto invece comporre la giunta comunale”.
3.2. Un secondo profilo dell’eccezione in esame concerne invece il rilievo della supposta, mancata contestazione specifica dell’argomentazione svolta a pag. 9, righe 19 e seguenti, della sentenza di primo grado (il ritenuto difetto di prova della diffusione del pieghevole elettorale, e la presunzione della diffusione di adeguate istruzioni di voto).
Anche per questa parte l’eccezione è infondata.
Il passaggio enfatizzato non concerne un capo autonomo di sentenza, ma un singolo segmento del ragionamento motivatorio seguito dal primo giudice, del tutto inautonomo nel contesto della decisione, che peraltro l’appellante si è premurato di censurare laddove ha contestato, in via generale, l’inadeguata valutazione da parte del T.A.R. del rilievo del pieghevole elettorale – quale elemento fondante una ricostruzione alternativa a quella della volontà di riconoscimento – nella vicenda in questione.
- Nel merito, il primo giudice ha ritenuto “che siano da considerare nulle le schede elettorali in cui l’elettore abbia votato per la lista “Breganze Attiva”, formulando nel contempo preferenze per persone che non risultavano candidate per alcuna lista nelle elezioni per il Comune di Breganze, in quanto tale modalità di espressione del voto è del tutto estranea alle esigenze di espressione del voto, non pertinente, ed eccedente il modo normale di esprimere la volontà elettorale e, pertanto, obiettivamente e ragionevolmente idonea a costituire segno di riconoscimento. Inoltre, si ritiene che ciò possa valere anche nel caso di un numero piuttosto consistente di schede, come nel caso in questione, potendo costituire comunque indice di appartenenza ad un determinato gruppo clientelare, come di recente affermato anche dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1285 del 2018. Né tali conclusioni possono essere superate dalle controdeduzioni del Comune e della controinteressata volte a dimostrare che l’indicazione sulle schede dei nominativi di Parise, Poncato, Silvestri, e anche di Francesco Faresin (nominativo pure riscontrato nelle schede oggetto di verificazione), sarebbe frutto di un involontario errore, indotto dalla campagna elettorale della lista “Breganze Attiva”, che aveva presentato in un “pieghevole” e in vari incontri tali soggetti, indicati nelle schede contestate, come i futuri assessori: circostanze che avrebbero portato gli elettori a credere che tali soggetti fossero invece effettivamente candidati eleggibili per la lista “Breganze Attiva”, per cui, in un’ottica di favor voti, sarebbe corretto considerare valide le schede ai fini del voto di lista; ragionamento che, ad avviso del Comune e di parte controinteressata, sarebbe confortato anche dal numero elevato di schede emerse dalla verificazione riportanti tali indicazioni di voto. Davanti all’oggettiva idoneità dell’indicazione di un soggetto non candidato in alcuna lista elettorale a fungere da segno di riconoscimento, in quanto indicazione del tutto estranea alle esigenze di espressione del voto, non pertinente ed eccedente il modo normale di esprimere la volontà elettorale, la spiegazione fornita dal Comune e dalla controinteressata resta comunque labile e meramente ipotetica e non può assumere valore dirimente in senso contrario, considerato, inoltre, che nel “pieghevole” elettorale che avrebbe causato l’errore i nomi degli “assessori” sono tenuti ben distinti da quelli dei “consiglieri” essendo riportati in due separati elenchi con diversa intestazione, che non si ha nessuna prova del grado di diffusione del “pieghevole”, che proprio una delle fotografie degli incontri in cui erano presenti anche i futuri assessori depositata dal Comune (doc. 2 in atti deposito Comune) evidenzia uno schermo con l’immagine delle indicazioni su “come si vota”( per cui si può presumere che siano state date anche le corrette indicazioni di voto) (…)”.
- L’appellante lamenta anzitutto che un’applicazione della disposizione che – attraverso la regola della segretezza e la conseguente sanzione d’invalidità delle schede riconoscibili – tutela la libertà di voto dell’elettore non sufficientemente consapevole della specificità e della peculiarità della concreta fattispecie, abbia condotto paradossalmente alla penalizzazione della chiara espressione della volontà popolare: con un evidente fenomeno di eterogenesi dei fini.
Deduce, in particolare, sul piano testuale che nell’ottica di tale equilibrio di valori “per il principio del favor voti, è ragionevole concludere che la regola della conservazione del voto (v. art. 64, primo comma, d.p.r. 570/1960) debba prevalere rispetto all’eccezione della sua nullità (v. art. 64, comma 2, n. 2, d.p.r. n. 570/1960), di stretta interpretazione, tutte le volte in cui la modalità irrituale del voto non sia stata preordinata al fine del riconoscimento dell’elettore, in spregio al carattere di doverosa segretezza del voto”.
Contesta poi nell’unica ma articolata censura i singoli passaggi argomentativi della sentenza impugnata.
- Va precisato, in punto di fatto, che la sentenza gravata inequivocamente ha accolto il ricorso di primo grado con riferimento a n. 56 schede ritenute viziante nel senso anzidetto: “Pertanto, sulla base di quanto sopra complessivamente esposto, in accoglimento del ricorso vanno dichiarate nulle n. 56 schede elettorali illegittimamente conteggiate, in sede di operazioni elettorali, a favore della lista “Breganze Attiva” e del relativo candidato Sindaco Piera Campana (….)”.
La sentenza prosegue elencando analiticamente le caratteristiche delle singole schede, e le sezioni ove sono state rinvenute (18 nella sezione n. 1; 6 nella sezione n. 2; 7 nella sezione n. 4; 10 nella sezione n. 5; 10 nella sezione n. 7; 5 nella sezione n. 8).
Il contenuto della sentenza così esplicitato è altrettanto inequivocamente oggetto del ricorso in appello (nel quale si fa riferimento alle 56 schede in questione).
La memoria difensiva degli appellati, nel riprodurre gli scritti prodotti nel processo di primo grado, reiteratamente si riferisce invece a n. 54 schede che sarebbero oggetto della pronuncia.
Ancorché tale difformità non abbia alcuna refluenza in punto di prova di resistenza, e di conseguente effetto dell’accoglimento del gravame (dal momento che, come accennato, solo 5 voti separano le due liste), va qui ribadito che oggetto del presente giudizio – per come delimitato dal contenuto della sentenza di primo grado e dal contenuto del ricorso in appello – sono le 56 schede, analiticamente descritte nella pronuncia del T.A.R., che, oltre a riportare un’espressione di voto sul simbolo della lista “Breganze Attiva” o sul nome del candidato Sindaco per tale lista, ovvero pur non riportando alcuna espressione di voto né sul contrassegno della lista in questione né sul nominativo del candidato Sindaco collegato alla lista stessa riportano, nello spazio destinato all’espressione dei voti di preferenza per la lista in questione, anche l’indicazione di persone non candidate in alcuna lista elettorale, ma corrispondenti ai nominativi degli assessori sopra richiamati.
- Ciò chiarito, osserva anzitutto il Collegio che l’articolo 64, secondo comma, n. 2) del Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali (approvato con d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570), stabilisce che “Sono nulli i voti contenuti in schede (….) 2) che presentano scritture o segni tali da far ritenere, in modo inoppugnabile, che l’elettore abbia voluto far riconoscere il proprio voto”.
La sentenza impugnata ha incentrato il proprio ragionamento argomentativo sulla premessa della “oggettiva idoneità dell’indicazione di un soggetto non candidato in alcuna lista elettorale a fungere da segno di riconoscimento, in quanto indicazione del tutto estranea alle esigenze di espressione del voto”.
L’affermazione per cui, in applicazione della disposizione ora richiamata, l’indicazione di soggetti non candidati sarebbe causa di nullità del voto in quanto riconoscibile non è in realtà automatica e scontata nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: la riconduzione all’ipotesi di nullità ex art. 64 non consegue infatti meccanicamente ed acriticamente alla mera sussumibilità della singola scheda (o delle singole schede) nell’ambito di una casistica per la quale la giurisprudenza ha già affermato, in specifiche fattispecie concrete, l’idoneità a valere quale segno di riconoscimento, ma implica una ricostruzione concreta della volontà dell’elettore sulla base degli elementi di volta in volta considerati.
Per questa ragione non è particolarmente conferente la dialettica processuale fra le parti del presente giudizio in merito alla citazione di precedenti giurisprudenziali relativi alla oggettiva attitudine alla riconoscibilità del voto espresso mediante indicazione nella scheda di soggetti non candidati, e alla conseguente prevalenza dell’uno o dell’altro indirizzo giurisprudenziale, posto che una simile idoneità non va mai valutata in astratto, ma piuttosto declinata in funzione dello specifico contesto fattuale, sicché sul punto non è dato neppure riscontrare l’esistenza di indirizzi giurisprudenziali realmente contrastanti.
- La peculiarità del caso di specie è che il dato riscontrato è comune ad un numero considerevole di schede (oltre cinquanta), nel contesto di un corpo elettorale relativamente circoscritto.
Il primo giudice ha osservato in argomento che “il numero elevato di schede che riportano le contestate indicazioni di voto non può essere considerato elemento che ex sé esclude la riconoscibilità del voto, potendo invece, a contrario, come affermato da ultimo dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1285 del 2018, essere indice dell’appartenenza ad un certo gruppo clientelare o a una determinata cordata elettorale (cfr. C.d.S. sent. n.1285 del 2018 cit. “…l’apposizione di quadrati, circoli o triangoli – ove verificata in concreto – se non identifica certo il singolo elettore, potrebbe effettivamente essere una sorta di firma declaratoria dell’appartenenza ad una certo gruppo clientelare o familiare. Il che non può essere ammesso. L’assoluta libertà di voto costituisce infatti un valore cardine della democrazia, che non può esser messa in pericolo, dall’interferenza deviante di fattori di carattere ambientale (talvolta particolarmente pervasivi proprio nelle piccole realtà) …”)”.
La conclusione si basa sull’adesione alla soluzione raggiunta dalla sentenza di questa Sezione n. 1285/2018, che sul punto così ha motivato: “Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza però l’identificazione può anche non essere strettamente individuale. La collocazioni di segni diversi da quelli necessari ad esprimere ordinariamente le sue preferenze, costituisce comunque un segno di riconoscimento che denota una precisa volontà dell’elettore di ricondurre la propria manifestazione di voto, alla sua persona ovvero al suo gruppo di appartenenza (cfr. Consiglio di Stato sez. V 03 luglio 2013 n. 3570). Ciò premesso si osserva che il Tar, con una palese inversione logica, ha ritenuto infondata la censura, affermando che l’elevato numero di schede farebbe escludere la riconoscibilità del voto. Al contrario deve invece ritenersi che è proprio l’alto numero di schede interessate dall’apposizione di tre simboli del tutto identici che avrebbe dovuto imporre la verificare delle 80 schede, al fine di accertare se esse siano state effettivamente contrassegnate da quadrati, circoli o triangoli. Infatti l’apposizione di quadrati, circoli o triangoli — ove verificata in concreto –se non identifica certo il singolo elettore, potrebbe effettivamente essere una sorta di firma declaratoria dell’appartenenza ad una certo gruppo clientelare o familiare. Il che non può essere ammesso. L’assoluta libertà di voto costituisce infatti un valore cardine della democrazia, che non può esser messa in pericolo, dall’interferenza deviante di fattori di carattere ambientale (talvolta particolarmente pervasivi proprio nelle piccole realtà). L’accertamento si appalesa dunque comunque necessario anche al solo fine di eliminare ogni sospetto di interferenza sul voto da parte di possibili centri occulti di indirizzo del consenso”.
Va però osservato che il sillogismo argomentativo alla base di tale sentenza è più complesso del mero rilievo – sul piano strutturale – di una pluralità di schede riportanti l’apposizione di analoghi segni grafici estranei all’espressione del voto, essendo incentrato piuttosto (quale implicita premessa minore) sull’elemento – funzionale – dell’assenza di un’ipotesi ricostruttiva alternativa, secondo il processo di ricostruzione della volontà dell’elettore implicato dal citato art. 64.
Il condivisibile principio espresso dall’arresto da ultimo richiamato è infatti riferito ad un caso di “apposizione di quadrati, circoli o triangoli” nelle schede elettorali contenenti, per il resto, una valida espressione di voto: si tratta, dunque, di una condotta priva di plausibili ipotesi ricostruttive alternative a quella della volontà dell’elettore di manifestare la riferibilità del proprio voto quanto meno ad un gruppo, secondo una logica di appartenenza.
Il principio va dunque calato, criticamente, nel contesto specifico oggetto del gravame.
- I dati fattuali che caratterizzano la specifica fattispecie dedotta nel presente giudizio sono:
– l’espressione di voti di preferenza in favore di soggetti non candidati come consiglieri comunali, ma indicati come assessori designati in caso di vittoria elettorale;
– la pluralità di sezioni elettorali nelle quali si è riscontrato il fenomeno;
– il numero elevato (in rapporto al numero degli elettori) delle schede interessate da tale fenomeno.
L’adeguata considerazione delle peculiarità fattuali della vicenda, unita alla consapevole individuazione degli elementi normativi rilevanti sulla base della richiamata disposizione, impone allora di spostare l’indagine su di un diverso piano, pure posto a fondamento dei motivi di gravame: quello relativo alla esistenza, o meno, di una ipotesi ricostruttiva alternativa rispetto a quella ritenuta dal primo giudice nel senso della volontà dell’elettore di essere riconosciuto.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in sede di esegesi del citato art. 64 del d.P.R. n. 570/1960 ha avuto modo di chiarire che “L’espressione “in modo inoppugnabile” non può essere intesa in senso letterale, come se fosse volta a esigere un’effettiva certezza della volontà dell’elettore di far riconoscere il proprio voto, poiché una simile inoppugnabilità si avrebbe solo nel caso, invero di interesse meramente scolastico, che l’elettore sottoscriva il voto dato con il proprio nome e cognome; l’elemento della riconoscibilità, quindi, deve essere valutato caso per caso, al fine di stabilire se l’anomalia del voto possa giustificarsi ragionevolmente con cause diverse da quella della volontà di far identificare il consenso attribuito alla lista o al candidato (cfr. in ultimo, Cons. Stato, V, n. 142/2016), di modo che possono essere ritenuti segni di riconoscimento quelli eccedenti il modo normale esprimere la volontà elettorale, e dunque una particolare anomalia nella compilazione della scheda che non si possa qualificare quale segno superfluo o incertezza grafica, ovvero non sia spiegabile con difficoltà di movimento o di vista dell’elettore, occorse nell’indicare un determinato simbolo, nell’apporre il crocesegno o nell’indicare il nominativo del candidato suffragato (cfr. in ultimo, Cons. Stato, V, n. 2087/2016; n. 245/2016)” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4523/2016; nello stesso senso di richiedere l’assenza di ragionevoli spiegazioni alternative è la sentenza n. 142/2016, entrambe richiamate dal primo giudice).
- L’appellante ha rappresentato, e documentato, una ipotesi ricostruttiva diversa rispetto a quella della volontà di rendere il voto riconoscibile: quella secondo la quale l’indicazione, nel volantino elettorale prodotto in giudizio, sia dei nomi dei candidati consiglieri che dei nomi degli assessori designandi avrebbe indotto un elevato numero di elettori a manifestare la propria volontà (non già di farsi riconoscere, ma) di attribuire la propria preferenza alla lista in questione, identificata – per effetto della sintesi grafica in un unico contesto – non solo mediante i nominativi dei candidati consiglieri comunali, ma anche attraverso l’indicazione dei futuri assessori.
Proprio lo scrutinio della plausibilità dell’ipotesi ricostruttiva alternativa consentirebbe, ad avviso dell’appellante, di cogliere il dato della volontà popolare espresso dai 56 voti in contestazione, nel senso che gli elettori considerati attraverso l’espressione del voto in esame non hanno voluto che le rispettive schede elettorali fossero riconoscibili, ma hanno voluto manifestare la loro adesione alla lista “Breganze Attiva” (volontà che sarebbe stata frustrata, in nome di una tutela della libertà del voto di cui non ricorrerebbero i presupposti, dalla sentenza del T.A.R.: con conseguente eterogenesi dei fini della decisione).
- A sostegno della fondatezza dell’appello milita un’ulteriore indicazione ermeneutica, in punto di riconducibilità dell’errore alla volontà di rendere il voto riconoscibile è fornita – proprio con riferimento alla necessità di bilanciare la tutela della segretezza del voto con il rispetto della volontà popolare – dalla sentenza della V Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 3949/2015, laddove nello specifico caso esaminato ha escluso “l’operatività della sanzione della nullità, legislativamente limitata a casi eccezionali onde garantire il rispetto della volontà espressa dal corpo elettorale anche con riguardo a elettori che non siano in grado di apprendere e di osservare appieno le istruzioni per l’espressione del voto (Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2001, n. 1020)”.
Ne consegue che ai fini della ricostruzione della volontà dell’elettore rileva, per non rischiare di pregiudicare il bene primario del “rispetto della volontà espressa dal corpo elettorale”, l’indagine sulla effettiva capacità dell’elettore di “apprendere e di osservare appieno le istruzioni per l’espressione del voto”: indagine in merito alla quale assume evidentemente rilievo fattuale la decettività del volantino elettorale in questione (al di là di quanto rilevato dal primo giudice in merito al fatto che le diverse indicazioni – dei candidati e dei non candidati – fossero contenute in due distinte parti dello stesso: posto che come ricorda la sentenza da ultimo richiamata non tutti gli elettori sono dotati del medesimo livello di avvedutezza).
- La plausibilità dell’ipotesi prospettata dall’appellante è inoltre rafforzata dall’essere i soggetti non candidati, indicati nelle schede annullate dal T.A.R., non estranei alla consultazione elettorale (criterio, questo, valorizzato dalla sentenza n. 2322/2019 di questo Consiglio di Stato), ma in essa (sia pur indirettamente) implicati, come è stato chiaramente prospettato agli elettori mediante il ridetto pieghevole.
Sotto questo profilo è privo di pregio l’argomento degli appellati, già posto a fondamento dell’eccezione in precedenza esaminata e ribadito nelle difese di merito, circa il preteso difetto di prova della piattaforma fattuale su cui poggiano le ragioni della parte appellante.
Nel giudizio di primo grado la produzione del pieghevole in questione da parte della difesa del Comune di Breganze in data 25 luglio 2019 è stata accompagnata dall’allegazione di ulteriori, plurimi elementi dai quali di evince univocamente che agli elettori è stato pubblicamente veicolata l’informazione di cui si discute (vale a dire, l’indicazione come assessori della lista “Breganze Attiva” dei soggetti poi votati nelle schede in questione, ancorché non candidati): numerose foto degli incontri elettorali in diverse località del territorio comunale, estratti delle pubblicazioni sulla pagina Facebook della lista “Breganze attiva”, il provvedimento di nomina degli assessori (effettivamente coincidenti con tali nominativi).
Tali elementi, analiticamente dedotti a pag. 15 del ricorso in appello (ad ulteriore smentita della mancanza di profili di critica relativi al relativo passaggio argomentativo della sentenza di primo grado), unitamente al rilievo (pure dedotto in appello) che alcuni dei futuri assessori erano stati in passato assessori nella Giunta guidata dall’odierna appellante durante la precedente consiliatura, dimostrano la sicura diffusione nel territorio comunale dell’identificazione politica fra i nominativi in questione e la lista “Breganze Attiva”.
- Una pluralità di elementi funzionalmente e logicamente convergenti, ricavabili nella specifica fattispecie sulla base della (giurisprudenza relativa alla) disposizione della cui applicazione si tratta, milita dunque nel senso di escludere che l’espressione di voto in favore degli assessori designati, non candidati al consiglio comunale, implicasse una volontà degli elettori di rendere riconoscibile il loro voto (nei termini, sopra richiamati, in cui la norma disciplina la ricostruzione del percorso volitivo dell’elettore).
Se si ha riguardo ad un approccio consapevole dei valori e degli interessi antagonisti che caratterizzano la fattispecie astratta, oltre che della peculiarità della fattispecie concreta, ci si avvede che nel caso di specie l’indicazione di un soggetto non candidato in alcuna lista elettorale non è, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, di per sé “estranea alle esigenze di espressione del voto”, ma è risultata funzionale a tale esigenza.
Conseguentemente, la sanzione di invalidità di tali voti non solo non è legittimata dalla disposizione regolante l’esercizio del potere più volte richiamata, ma rappresenta al contrario una forma di frustrazione della chiara volontà elettorale che tale norma primariamente si prefigge di tutelare.
Il gravame è pertanto fondato nella parte in cui deduce l’erroneità della sentenza appellata per avere fatto un’applicazione del citato art. 64, e della giurisprudenza formatasi in merito, non appropriata rispetto alla specifica fattispecie dedotta, in relazione al modo in cui in tale fattispecie si confrontano i valori antagonisti regolati da tale disposizione.
- In accoglimento dell’appello, e in riforma della sentenza impugnata, deve essere pertanto respinto il ricorso di primo grado, con la conseguente conferma del risultato elettorale portato dal verbale di proclamazione degli eletti del 27.05.2019 per il rinnovo del Consiglio Comunale e per l’elezione del Sindaco del Comune di Breganze a seguito delle elezioni amministrative tenutesi in data 26 maggio 2019.
Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie e alla parziale novità della questione dedotta, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
Le spese della verificazione disposta dal T.A.R., liquidate nella misura indicata nella sentenza impugnata, vanno invece poste a carico dei ricorrenti in primo grado, in solido fra loro.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio; pone a carico dei ricorrenti in primo grado, in solido fra loro, le spese per la verificazione disposta dal T.A.R., nella misura liquidata nella sentenza gravata.
Dispone che la Segreteria della Sezione proceda immediatamente agli adempimenti di cui all’art. 130, comma 8, c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2020
di Redazione Altovicentinonline
(foto di repertorio)