“Un milione di abitanti e un uomo solo al comando, responsabile di medici ospedalieri, medici di base, primari, infermieri, tecnici, amministrativi, uscieri, ispettori, fornitori, servizi sociosanitari. Interlocutore unico di sindacati, avvocati, assicuratori, enti convenzionati, amministrazioni locali e soprattutto della misteriosa Azienda Zero, la moderna Araba Fenice della sanità veneta: che ci sia ognun lo dice, cosa faccia nessun lo sa” (Renzo Mazzaro).
Renzo Mazzaro, giornalista di Padova, che con il suo libro ‘I padroni del Veneto’ aveva preannunciato i grandi scandali finanziari che poi di fatto hanno travolto i vertici della politica regionali, ancora una volta punta il faro sulla sanità veneta. O meglio, su quello che è sempre stata definita ‘l’eccellenza veneta’ ma che negli ultimi anni ha lasciato l’amaro in bocca a centinaia di utenti, costretti a pagare codici verdi a volte discutibili, ad attendere ore al Pronto Soccorso e a vagare alla ricerca di qualcuno per interminabili corridoi di ospedali che sembrano astronavi.
Un argomento, quello della riforma sanitaria, sul quale nessuno parla, forse inconsapevoli del fatto che sul tema si giocano le più importanti partite politiche e si spartiscono ruoli di comando che, a dire il vero, hanno poco a che fare con la salute e molto con le stanze dei bottoni, dei partiti e dell’economia.
Mazzaro cerca di far aprire gli occhi della gente con un articolo pubblicato su Il Mattino di Padova, all’indomani della riforma sanitaria che vede la creazione dell’Azienda Zero e che da 21 Ulss ne ha lasciate ‘aperte’ solo 7, accorpando e commissariando le restanti. Una riforma imposta da Roma con un risparmio per la Regione Veneto. E una paura per alcuni ‘addetti ai lavori’, che vedono nei tagli la necessità di recuperare soldi per coprire i costi di alcuni project financing che hanno permesso la costruzione di nuovi ospedali coinvolgendo ‘privati’ che ci mettono del capitale ponendo clausole di recupero e guadagno degne dei migliori imprenditori.
Nel suo articolo, Mazzaro, esordisce con il suo stile ficcante, con un titolo che lascia poco spazio all’immaginazione: “Zaia e l’Azienda Zero l’uomo solo al comando”. E sviluppa, nel suo articolo che riportiamo integrale di seguito, il suo pensiero sulla sanità veneta.
Luca Zaia si prende tutta la responsabilità della riorganizzazione della sanità avviata a capodanno, mentre i veneti digerivano zampone e lenticchie. Ma chi corre sul territorio e risponde agli utenti non è lui e neanche il suo luogotenente Domenico Mantoan. Sono i 7 direttori generali confermati sull’intelaiatura delle 21 Usl ancora esistenti, con il compito di commissariare quelle destinate alla fusione.
Girano come trottole. Saltellano da una riunione all’altra per tranquillizzare i dipendenti. Per garantire che niente cambierà. Impossibile. Che riorganizzazione sarebbe? Non ci vuole Pico della Mirandola per intuire che nell’accorpamento di più Usl i laboratori di analisi, le ambulanze, il pronto soccorso, i reparti poco utilizzati o doppioni di altri, saranno i primi a subire contraccolpi. Con ricadute sugli utenti. Positive, si spera. Ma come, di preciso?
Nessuno l’ha capito, nessuno lo dice. Non esistono simulazioni. Chi ha responsabilità cerca solo il consenso. Chi è stato bocciato aspetta il ripescaggio. Quelli che fanno dichiarazioni parlano in politichese. Hanno ragione alla Cgil: «C’è un clima di terrorismo allo stato puro», dice Daniele Giordano. «Vietato parlare, nessuna critica ad un progetto destinato a migliorare il sistema».
Con tutto quello che invece ci sarebbe da dire. Sui medici di base e l’ambulatorio aperto 24 ore. Sui medici ospedalieri e i turni con intervallo obbligatorio di 11 ore. Sulle 500 assunzioni di infermieri, promesse e mai viste. Sui costi del personale. Sulle liste d’attesa, di cui non vengono forniti i dati. Sulle prestazioni serali, se siano davvero prestazioni in più. Sugli accessi al pronto soccorso: «Mancano dati sugli utenti, soprattutto in pediatria, che entrano con un codice giallo ed escono con uno verde o bianco, per i quali si deve pagare il ticket», accusa Giordano.
Il “mostro” da un milione di abitanti, per la precisione 935.699, è l’azienda unica di Padova, ottenuta accorpando la 17 di Monselice-Este, la 15 di Cittadella-Camposampiero e la 16 Padova città, con dg Claudio Dario. Il secondo colosso per bacino di utenti è l’azienda di Verona, dove Pietro Girardi farà il lavoro dei tre predecessori che gestivano la Usl 21 di Legnago, la 22 di Bussolengo e la 20 di Verona capoluogo. La terza azienda unica, la prima per numero di dipendenti (ben 9.002), è quella di Treviso, ottenuta frullando l’Usl 7 di Pieve di Soligo, la 8 di Asolo e la 9 di Treviso città, con dg Francesco Benazzi.
Per Venezia e Vicenza il manovratore ha introdotto una variante. L’azienda veneziana unifica la 10 di Mestre-Venezia, la 13 di Mirano e la 14 di Chioggia, nelle mani di Giuseppe Dal Ben, ma lascia fuori il Veneto orientale. Quella di Vicenza accorpa l’Usl 6 del capoluogo e la 5 di Azignano, con dg Giovanni Pavesi, ma lascia fuori il Bassanese. Sono riserve indiane, create per «salvaguardare territori con una loro identità». In effetti, frugando nella memoria, sovviene che alcuni Comuni del Veneto orientale volevano passare in Friuli. Nel Vicentino un referendum puntava addirittura a costituire la provincia di Bassano. A parte che sembrano mille anni fa, c’entra qualcosa con la sanità?
Soltanto l’azienda unica di Belluno (dg Adriano Rasi Caldogno) e quella di Rovigo (dg Fernando Compostella), pur assorbendo rispettivamente l’Usl 2 di Feltre e la 19 di Adria, hanno una dimensione compatibile con il tetto di 250-300.000 abitanti. Tetto previsto dal piano sanitario ancora in funzione, scritto dallo stesso manovratore che oggi pare ignorarlo, per rendere possibile l’integrazione tra ospedali e medicina del territorio. Cioè per evitare che andiamo tutti, ogni volta, al pronto soccorso.
La dimensione non è neutra, è un acceleratore di inefficienza. Più cresciamo in dimensione, più sfugge il controllo, più la gente è spinta ad arrangiarsi. Perché correre questo rischio? Per risparmiare, rispondono da Palazzo Balbi. Luca Zaia parla di 60 milioni l’anno. Altre fonti dicono 90 milioni. Su 8 miliardi di spesa della sanità veneta?
Purtroppo il passaggio è obbligato. La riorganizzazione è una necessità nazionale, imposta dalla durezza dei tempi. Il Veneto si accoda all’odiata Toscana di Matteo Renzi, dove hanno rimpastato 12 aziende sanitarie riducendole a 3 (tre!), pur avendo 10 province non meno suscettibili delle nostre, visto che a Livorno preferiscono un morto in casa che un pisano all’uscio.
In Toscana la legge istitutiva delle 3 aziende è stata approvata il 28 dicembre. Nel Veneto il Pdl 23, di cui i nuovi direttori generali sono un’anticipazione, andrà in aula solo dopo la finanziaria. In due versioni contrastanti, di cui tutti possono prendere visione: nel testo originale l’Azienda Zero impartisce ordini alle aziende provinciali e ne riceve solo da Domenico Mantoan; nel testo riscritto con un maxiemendamento (della maggioranza!) il dottor Mantoan torna al suo posto, le aziende provinciali riacquistano autonomia e l’Azienda Zero risponde alla giunta e al consiglio regionale. La lettura comparata dei due testi mette inquietudine: abbiamo Giano bifronte al timone?