Che cosa succederebbe se all’improvviso il simbolo della Serenissima spuntasse accompagnato alla bandiera del Pd?
E’ fin troppo facile immaginarselo: tumulti che griderebbero all’oltraggio e ‘passionari’ convinti che il leone di San Marco sia un simbolo esclusivo della destra di oggi. Sui social si spargerebbero a macchia d’olio insulti e minacce, fioccherebbero offese per ‘invasione di campo’ accompagnate da provocazioni di ogni genere.
Ma sarebbe sbagliatissimo ed è Giacomo Possamai, candidato del Partito Democratico alle prossime elezioni regionali a far riflettere sull’argomento e, soprattutto, ad incitare il suo Pd ad utilizzare il simbolo del Veneto alla pari di come fanno i partiti antagonisti, consapevole che il ‘Leone di Venezia’ non è un’icona schierata con la politica moderna, ma l’immagine di un popolo fiero, accomunato da radici profonde e da una storia gloriosa fatta di tolleranza e cultura, che venivano promosse in una terra cosmopolita e laica, dove si rifugiavano i liberi pensatori in fuga dall’inquisizione ed i monaci in pericolo.
“La bandiera del Veneto è di tutti i veneti. La ‘mia’ sinistra ha fatto l’errore di non fare altrettanto quando la Lega ha cominciato ad esibire il Leone di San Marco accostandolo al suo simbolo. Li abbiamo lasciati fare in silenzio e in questo modo, grazie ad una riuscita campagna mediatica messa a segno con un sapiente utilizzo delle immagini, il simbolo del nostro popolo oggi viene accostato esclusivamente a Zaia, alla sua Lega e agli indipendentisti veneti”, ha sottolineato con rammarico e lucida consapevolezza Possamai.
E non gli si può dare torto. Da osservatori esterni infatti, non viene facile accostare il leone alato dorato su sfondo bordeaux al simbolo tricolore del Pd. Complice uno strategico passaggio culturale che ha visto prima la Liga veneta, poi gli indipendentisti veneti e infine la Lega di Zaia e poi quella di Salvini, utilizzare il leone di San Marco in modo abile, fino a farlo diventare la ‘mascotte’ del loro schieramento.
“E pensare che i principi della Serenissima sono molto più vicini a quelli della sinistra di oggi che a quelli della Lega”, ha concluso Possamai durante un incontro pubblico, dove con la sua affermazione ha fatto sgranare gli occhi ai tanti che, non conoscendo la storia, troppo spesso si fermano ad immagini e slogan, come se l’evoluzione di eventi e rapporti culturali che si succedono nel corso dei secoli si potessero riassumere con una ‘sparata’ su Tik Tok.
Dal 697 dopo Cristo al 1797 infatti, la Repubblica di Venezia era un concentrato di quelli che oggi, con il buon senso ed una buona dose di quello spirito critico che non guarda ai colori politici intesi come slogan ma agli interessi concreti di un popolo, verrebbero definiti ‘alti e buoni valori’. Tanto che il Petrarca, di Venezia scrisse: “Unico albergo a dì nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio de’ buoni, città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra solidi marmi fondata, ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile”.
Il leone, simbolo iconico di Venezia, raffigura una repubblica fortemente cristiana che garantiva però il principio di laicità e la libertà di culto. Una città internazionale e cosmopolita, crocevia di popoli, con poche leggi ma ferree, aperta nei confronti dell’immigrazione che però selezionava con attenzione e rispetto verso i suoi cittadini e le esigenze economiche del territorio. Una terra in cui la presenza dello Stato c’era ma non era eccessiva ed in cui esisteva libertà di iniziativa. E mentre negli altri stati europei medievali l’inquisizione perseguitava i dissidenti, questi (come fece ad esempio Galileo) si rifugiavano a Venezia. Fu proprio a Venezia, pur se incardinata sui principi cristiani, che trovarono rifugio gli ebrei ad inizio del 1500 e sempre a Venezia, 200 anni dopo, l’isola di San Lazzaro venne concessa ai monaci armeni in fuga dall’oppressione islamica. Venezia, città di tolleranza, libertà e cultura, talmente colta e propensa alla divulgazione del sapere, che verso la metà del 1500 la metà dei libri che circolavano in Europa erano stampati a Venezia.
Anna Bianchini