“Proverò ad essere un buon sindaco anche per chi non mi ha votato perchè è giusto che sia così”. Giampi Michelusi ci ha tenuto a sottolinearlo ai giornalisti, che l’altra sera, erano al Comune di Thiene, per assistere allo spoglio dei vari seggi, per mettere al corrente l’opinione pubblica dell’esito del ballottaggio. Erano presenti varie testate giornalistiche e Michelusi, davanti a microfoni e telecamere, ha dedicato la sua vittoria alla sua famiglia, a sua moglie Lorella, alle sue figlie, ai suoi generi e ai suoi nipoti, che dopo il verdetto sono corsi ad abbracciarlo. Nessuna collezione di bottiglie, la famiglia era senza prosecco al seguito e ci hanno pensato dei sostenitori della sua coalizione a portarne un paio davanti al comune. Voci di corridoio dicono che Michelusi e la sua squadra abbiano festeggiato a casa di un candidato, che avrebbe messo la propria cantina a disposizione.
Sui volti della famiglia Michelusi, si leggevano i segni di una campagna elettorale dura sotto il profilo umano. Una campagna elettorale di così basso livello, da fare registrare a Thiene il dato più alto in termini di disertazione elettorale. Proprio così, Thiene è la città veneta in cui si è registrato il dato più drammatico di mancata affluenza alle urne. Numeri che la dicono tutta sul percorso che c’è da fare per recuperare il rapporto con i cittadini, che sono stanchi di spot urlati, che sanno più di autoincensamento, che di umile richiesta di fiducia.
A Thiene, i confronti, che dovevano servire a fare conoscere i candidati, sono stati davvero miseri di contenuti. Il massimo dello sconforto si è vissuto quando in Sala Borse, durante l’incontro organizzato da Confcommercio, i 5 candidati non sono stati in grado di rispondere a delle domande, che seppur tecniche, erano state inviate dalla giunta diversi giorni prima. Ma se provavi a chiedere sul destino del mercato e del progetto di Ascom, ti sentivi rispondere dal candidato di turno con frasi fuori tema. Insomma, il moderatore chiedeva di banane e si sentiva rispondere di kiwi e pesche. A questo si aggiungevano i toni arroganti, tipici di chi crede di fare il furbo arrampicandosi sugli specchi, ma che non convincono gli addetti ai lavori. Una stampa troppo buona, che in altre città d’Italia avrebbe messo nel tritacarne chi, ostentando tanta impreparazione, osava proporsi come primo cittadino con supercazzole che nemmeno facevano ridere. Ma è la politica di oggi, quella populistica che si spera abbia le ore contate, quella urlata per colpire la pancia dei cittadini arrabbiati e non per costruire un sano rapporto con loro. Una politica che sembra non pagare più.
In Veneto non ha funzionato e il caso-Verona ne è la prova. La vittoria di Tommasi, che ha scalzato tutti, con il suo garbo, il suo tono di voce sempre adeguato, la sua umiltà ha suscitato fiducia in chi, anche in una giornata di caldo soffocante, si è preso la briga di spendere 5 minuti per chi lo aveva conquistato. Damiano Tommasi aveva dato indicazioni ben precise sull’uso dei social: niente offese, niente attacchi, guai a chi insulta o denigra l’avversario. Con la sua squadra era stato chiaro, sulla rete non si trova una sola dichiarazione ‘accesa’ nei soli toni. A Verona la sobrietà e l’etica hanno cambiato la politica.
Natalia Bandiera