Otto sciacalli che facevano business sulla pelle di cuccioli sottratti alla mamma quando avevano ancora bisogno di lei. Un traffico illegale di povere bestiole che morivano spesso durante il tragitto. Venduti con cinismo e commerciati con crudeltà e con la compiacenza di un veterinario senza scrupoli, che aveva il compito di apporre il microchip. Cagnolini di razza toy, quindi i più piccoli e fragili fisicamente, che acquistati a 50 euro, venivano rivenduti a 750 euro.

Gli animali venivano portati in Italia dall’Ungheria, dalla Polonia e dalla Slovacchia senza rispettare le regole di trasporto e in condizioni pessime. Venivano poi venduti a questi prezzi altissimi  con una falsa documentazione.

Quello che ha scoperto la Polizia Stradale di Udine che ha arrestato 8 persone, tra italiani e stranieri, è raccapricciante:  decine di cuccioli di cane stipati nei bagagliai, in condizioni pessime. Lo scopo era quello di portarli in Italia da paesi come l’Ungheria, la Polonia o la Slovacchia. L’organizzazione è stata smantellata dalla Polizia stradale di Udine che ha  eseguite otto misure cautelari nei confronti di sei italiani, di una cittadina polacca e di uno slovacco, con l’ipotesi di associazione per delinquere.

Le indagini erano iniziate nel 2017, dopo un controllo effettuato da una pattuglia di vigilanza stradale della sottosezione Polstrada di Amaro, che aveva intercettato un mezzo a bordo del quale erano presenti 65 cuccioli. Gli animali, di un mese di vita al massimo – condizione che rende illegale il trasporto in Italia -, non avevano la vaccinazione antirabbica. I cuccioli si trovavano in gabbie di piccole dimensioni messe all’interno del bagagliaio, senza una buona ventilazione. Dietro a questo episodio, con pedinamenti e intercettazioni telefoniche, gli investigatori hanno ipotizzato che ci fosse un grande traffico illecito di animali da compagnia. Non solo: le indagini hanno evidenziato come il business prevedesse anche la “regolarizzazione” e la successiva commercializzazione dei cani.

Dopo il trasporto, l’organizzazione produceva la falsa documentazione identificativa e provvedeva anche all’illecita microchippatura degli animali, grazie al coinvolgimento di un veterinario compiacente, della provincia di Milano, e di due allevamenti che simulavano la nascita dei cuccioli nelle loro strutture. La commercializzazione poi avveniva oltre che per i normali canali di vendita, anche attraverso inserzioni su siti web. Il cliente finale acquistava quindi un cane nella convinzione che fosse nato in Italia.

Secondo quanto accertato dagli investigatori, l’assenza di una corretta profilassi post nascita provocava alcune malattie e poi la morte di molte bestiole.

 

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