L’allevamento intensivo non piace per niente agli italiani che lo ritengono crudele per gli animali (77%). Si tratta, secondo l’opinione dell’80% dei cittadini, di un sistema che metta il profitto al di sopra del benessere degli animali.
Secondo un sondaggio condotto da YouGov per CIWF, riguardo agli impatti dell’allevamento intensivo, il 49% degli intervistati ritiene che l’allevamento intensivo contribuisca al cambiamento climatico, il 66% che contribuisca alla perdita di biodiversità, il 51% all’impoverimento del suolo, il 56% all’inquinamento di acqua, aria e suolo, il 67% all’antibiotico resistenza e il 59% all’obesità e al cancro contribuendo a un eccessivo consumo di carne.
La maggioranza degli intervistati sono inoltre disposti a pagare il 10% in più per prodotti derivati da animali allevati con maggiore benessere: il 45% è molto disposto e il 36% abbastanza disposto a pagare il 10% in più per prodotti provenienti da animali non allevati in gabbia. Il 54% è molto disposto e il 33% abbastanza disposto a pagare il 10% in più per prodotti provenienti da animali allevati all’aperto.
Le buone intenzioni degli Italiani possono però non essere sufficienti di fronte ad una giungla di etichette, a volte non sempre chiare o veritiere.
Ad esempio il claim ”Benessere animale in allevamento”, che potrebbe essere presto utilizzato sui prodotti lattiero-caseari dalle aziende che rispettano gli standard del protocollo del CReNBA (Centro di referenza nazionale per il benessere animale), non implica necessariamente che le vacche siano in condizioni di completo benessere. Infatti il protocollo del CReNBA riporta il livello medio di gestione dell’allevamento, del benessere delle vacche e della biosicurezza. Ma tra tracciare lo stato di una stalla e parlare di benessere animale c’è molta differenza.
Anche l’etichetta “Allevato senza antibiotici” nasconde delle insidie: purtroppo può accadere che gli animali vengano allevati negli stessi sistemi intensivi ma senza cure adeguate, oppure che i trattamenti antibiotici vengano sostituiti con altri tipi di farmaci senza che siano migliorate le condizioni di allevamento. Per questo sarebbe opportuno accertarsi che contestualmente alla riduzione di antibiotici ci sia anche un reale miglioramento delle condizioni di allevamento.
Per fare chiarezza, CIWF ha realizzato una guida per orientare i consumatori nella scelta di prodotti più rispettosi del benessere degli animali. La guida è ricca di informazioni sulle reali condizioni di vita, secondo il metodo di allevamento, delle diverse specie allevate, e riporta indicazioni sulle etichette disponibili sul mercato consigliando i prodotti disponibili più rispettosi del benessere degli animali.
“Abbiamo deciso di aiutare tutti i consumatori desiderosi di scegliere il benessere degli animali, limitando così anche gli impatti ambientali e quelli sulla nostra salute”, dichiara Annamaria Pisapia, Direttrice di CIWF Italia Onlus. “Speriamo che anche il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, accanto alla legittima azione per ottenere l’indicazione dell’origine in etichetta, cominci presto a lavorare anche su un’etichettatura chiara e trasparente secondo il metodo di allevamento per tutte le specie allevate, attualmente ancora non esistente nel nostro Paese. Anche se solo su base volontaria, essa sarebbe di importanza fondamentale contro la comunicazione fuorviante di certa industria alimentare e per lasciare veramente ai consumatori la possibilità di contribuire al miglioramento del benessere animale tramite le loro scelte di acquisto”.
a cura dell’associazione dei consumatori Italiani