di Paola Dal Ferro
Sembra che una donna in sovrappeso abbia sul petto una lettera scarlatta. Ecco noi non ci stiamo! La lettera scarlatta più famosa, quella dell’omonimo libro di Hawthorne, parla della Nuova Inghilterra puritana e retrograda del XVII secolo, dove alle adultere veniva cucita sul petto una A. Nel 2021 contiamo di aver fatto qualche passo avanti e di poter parlare di dignità della donna e di rispetto delle sue scelte e del suo aspetto fisico!
E poi pensiamo di essere moderni?
In verità no. Il modello efebico’ è una creazione recente, la storia ci riporta ben altro.
I primi esempi di ‘modella curvy’ ce li porta l’archeologia mostrandoci in ogni parte del mondo, indistintamente, ritrovamenti di piccole statue che raffigurano la dea madre terra o altre divinità che tutto si possono chiamare fuorché longilinee. Abbondantemente abbondanti nelle loro fattezze: sono il simbolo dell’opulenza della natura, in tutta la sua ricchezza di doni e frutti che esaltano la vita. ‘Vivre la vie’ , come direbbero i francesi.
Tra l’altro sembra che Giunone (dea dalle forme femminili provocanti, in particolare dotata di un decollete che non ha bisogno assolutamente di chirurgia estetica) piaccia tutt’ora nel vecchio come nel nuovo continente tanto che alla procace dea è stata dedicata una sonda dalla Nasa, attualmente nell’orbita di Giove.
Passando oltre statue greche e romane piuttosto ammiccanti, arriviamo dritti al rinascimento con Botticelli e compagni. Avete presente la rappresentazione della primavera del maestro fiorentino? Quella che tutti conoscono come minimo perché ripresa in tantissime pubblicità? Difficile definirla un grissino e talmente bella che non ti viene assolutamente da consigliarle di iscriversi in palestra.
Il Rinascimento è stato per l’Italia un momento culturale particolarmente florido e questo si riflette anche nei costumi, il corpo della donna cool deve essere morbido e avvolgente. Che dite questo merita una riflessione?
Altro che diete a zona o digiuno alternato: a quei tempi i dietologi per essere dei veri influencer consigliavano cure ingrassanti. Pensate a quanta meno frustrazione c’era con tutti gli annessi e connessi.
Ma quando è cambiato questo modo di pensare? Agli inizi del secolo scorso e in qualche modo bisogna (purtroppo) ringraziare la tecnologia.
La moda e il profitto sull’argomento l’hanno fatta da padrone, dal capo sartoriale nel 1900 sono iniziati i capi in serie, la grande distribuzione ha reso più difficile le variazioni dei capi d’abbigliamento e le taglie sono state omogeneizzate.
Ma, a differenza del vecchio continente, gli americani non hanno mai rinunciato ad una abbondante bistecca al sangue, con tante salse e cipolla (spesso esagerando anche un po’), dove poteva nascere il primo rivenditore esclusivo per taglie forti se non a New York?
La fondatrice, nel 1904, è stata Lena Bryant, l’idea era nata come una linea di abbigliamento per donne in gravidanza per poi espandersi a tutte le taglie over.
Il negozio aveva una potenzialità illimitata, ma un grosso problema: nessun giornale newyorkese accettava di pubblicizzare abiti per la maternità, un altro tabù di una società rimesta, evidentemente retrograda e la stampa non era così coraggiosa da denunciarlo.
Il primo ad andare controcorrente fu, nel 1912, il New York Herald; quando pubblicò la famigerata pubblicità della linea premaman. L’intero stock di Lena Bryant fu esaurito in un giorno.
La strada era stata aperta ma sarebbe stata ancora lunga e tortuosa, l’America negli gli anni ’40 stava cercando di affermarsi come una superpotenza globale nel settore della moda. Fu deciso che l’idea vincente di donna americana era alta e atletica. Tutte le donne che non rientravano in queste categorie erano di nuovo out.
Altra considerazione più terra terra è che per una passerella la quantità di tessuto usato per 10 modelle sottopeso fosse più conveniente per uno stilista rispetto allo stesso numero di donne che pesano circa 90 kg. In pratica potrebbero essere il doppio in termini di circonferenza, quindi (giusto o assolutamente sbagliato che sia) rattrista, ma non stupisce il perché in tutti questi anni si è scelto di utilizzare questo tipo di donna, al limite dell’anoressia, per promuovere marchi e aziende.
Ma arrivarono i dirompenti anni ’60, la rivoluzione fu ovunque. Prendendo spunto dalle proteste della guerra del Vietnam, le donne si unirono per combattere la distorsione del peso e la discriminazione attraverso il movimento radicale di accettazione del grasso.
Quindi tutto pronto per i mitici anni ’80: la svolta del “plus size”. Anche gli stilisti di haute couture iniziarono a partecipare al gioco, tra cui Valentino (Italia docet) e Givenchy, a causa di un calo delle vendite di abbigliamento di lusso… ok il settore portafoglio ha sempre il suo peso, in questo caso almeno per una buona causa.
Il febbraio del 2000 è una data storica, proprio Vogue Italia decide di far posare per le cover story, la giovane Sophie Dahl, (183 cm di giunoniche curve) immortalata dal fotografo Steven Meisel.
Dopo pochi mesi Vogue Italia rilancia mettendo in copertina quelle che sarebbero diventate successivamente le icone della moda morbida. Viene scelto ancora una volta il fotografo Steven Meisel che realizza nella cover story di Giugno 2011, un servizio fotografico interamente dedicato al mondo curvy, con le top model Candice Huffine, Tara Lynn e Robyn Lawley. Steven Meisel ritrae tre giunoniche ragazze in bianco e nero, non coperte di pesanti vestiti ma di provocante lingerie e con un’aria decisamente sensuale, accompagnate dalla scritta rossa a caratteri cubitali: “Belle Vere”. Un punto per Vogue Italia!
Passano tre anni e nel 2014 inizia la battaglia contro lo storico marchio di lingerie per corpi scolpiti Victoria’s Secret: “Cancella e scusati per la dannosa campagna pubblicitaria della tua nuova linea di reggiseni”. È questo l’inizio di una petizione online lanciata da tre ragazze inglesi contro la casa di intimo americana. Per le tre studentesse il brand con la campagna “The perfect body“, “Il corpo perfetto”, è colpevole di “promuovere uno standard di bellezza poco salutare e decisamente dannoso, una scelta irresponsabile, che non tiene conto della diversità di ogni donna e sceglie di chiamare ‘perfetto’ un modello di corpo irreale”.
Ma, fermi tutti, a offuscare i famosi angeli di Victoria Secret’s ci pensa la splendida Ashley Graham, rompendo tutti i canoni di bellezza e ‘vincendo’ la storica copertina di Sport Illustrated. La standing ovation è stata globale, la modella americana ha letteralmente ‘ spaccato’, aprendo la strada al popolo social e raccogliendo migliaia di followers.
E sappiate che nel 2020, dopo un periodo di crisi, il brand degli angeli ha iniziato ad inserire modelle curvy tra le sue famose dee, ma il popolo del web è insorto rispondendo ‘Scusate ma è troppo tardi il danno ormai è fatto!’