La vicenda che ha interessato la Cassazione (sesta sezione penale sentenza n. 23059/2023 sotto allegata) ha per protagonista un padre condannato in appello a 300 euro di multa per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388, comma 2, c.p.), per aver violato l’ordinanza con cui l’autorità giudiziaria aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli, conviventi con lui, impedendo alla madre di vederli nei giorni stabiliti.
L’uomo adisce il Palazzaccio lamentando che la Corte avesse erroneamente ritenuto la sussistenza dell’elemento materiale del reato, nonostante già in appello fosse stato dedotto – e risultasse agli atti – che i provvedimenti di ammonimento cui aveva fatto riferimento la parte civile, valorizzati dallo stesso giudice di primo grado ai fini dell’accertamento di responsabilità, riguardavano periodi antecedenti la denuncia e che, a seguito dell’ordinanza di ammonimento, l’imputato aveva cessato di opporsi a che la madre vedesse liberamente i figli, essendo stata, piuttosto, la donna a non manifestare alcun interesse in tal senso.
Inoltre, sosteneva l’uomo di essere stato impossibilitato ad assicurare quotidianamente il diritto di visita della madre, poiché impegnato fuori casa in ragione dei turni di lavoro, sicché i bambini erano affidati ai nonni. Per cui, vi era erronea applicazione del delitto di cui all’art. 388 c.p. per difetto dell’elemento soggettivo, essendo mancato il dolo intenzionale richiesto dalla fattispecie di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.
Per piazza Cavour, tuttavia, il ricorso è inammissibile, innanzitutto poiché reitera deduzioni sostanzialmente relative all’apprezzamento del materiale probatorio, di cui sembra, dunque, chiedere una rivalutazione, non consentita in sede di legittimità, ed alle quali i giudici di secondo grado hanno comunque fornito risposte complete e logiche, come tali, parimenti insindacabili.
Inoltre, dagli atti del processo e dalle prove orali è emersa la piena prova della responsabilità penale dell’imputato avendo costui eluso il provvedimento emesso dal tribunale nel procedimento di separazione personale dei coniugi. Per cui la decisione dei giudici di merito appare correttamente basata sulle dichiarazioni della persona offesa-parte civile, peraltro riscontrate, attraverso le dichiarazioni dell’assistente sociale.
Manifestamente infondato è poi il secondo motivo, sull’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 388, comma 2, cp.
E’ opportuno premettere che la fattispecie richiede un dolo generico che, quindi, non deve necessariamente assumere la forma intenzionale. Ciò precisato, osservano dal Palazzaccio, “è vero che secondo la giurisprudenza di legittimità, il dolo richiesto per la configurabilità del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore (art. 388, comma 2, cp) non è integrato nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l’azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell’interesse del minore. Tuttavia, il plausibile e giustificato motivo in grado di avere valida causa di esclusione della colpevolezza – che priva di rilievo il rifiuto di dare esecuzione al provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento dei figli minori – pur non richiedendo gli elementi tipici dell’esimente dello stato di necessità, deve essere determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore in una situazione sopravvenuta che, per il momento del suo avverarsi e per il carattere meramente transitorio, non abbia potuto essere devoluta al giudice per la opportuna modifica del provvedimento. Con la conseguenza che l’elusione del provvedimento giudiziale non può essere fondata su una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti”.
In altre parole, “il convincimento di aver agito nell’interesse dei figli minori non nega la sussistenza del dolo in capo all’imputato, del resto desumibile dall’ampio lasso temporale per il quale lo stesso ha impedito alla madre di vedere i figli e/ o lo ha consentito a condizioni restrittive, da lui soggettivamente decise ed imposte, che rendono poco plausibile la tesi di un impedimento giustificato e meramente occasionale e destituisce, correlativamente, di fondamento la circostanza di fatto – già ritenuta irrilevante dal giudice dell’appello – che, per impedimenti lavorativi, l’imputato non avesse la possibilità di garantire i contatti tra la madre ei bambini, avendo affidato questi ultimi ai nonni paterni”.