L’integrazione ci può essere, ma deve essere supportata dalla cultura”. Sono le parole di Samad Darmouch, fondatore dell’Associazione di intermediazione culturale Averroè, che non ha dubbi sul diretto collegamento tra cultura e integrazione.

Il fondatore dell’Associazione spiega le ragioni della sua posizione: “Perché un qualsiasi straniero si possa integrare nel paese che lo accoglie, c’è bisogno di un piano culturale. Quando il livello culturale è troppo basso, l’integrazione diventa molto difficile, se non addirittura impossibile, perché lo straniero si chiude nel suo mondo. Se invece esiste una base culturale sulla quale lavorare e se il cittadino straniero ha voglia di stare bene nel paese dove si è spostato a vivere, allora ci sono le basi perché ci sia un’ottima convivenza”. Marocchino, 44 anni da 14 in Italia, insegnante nel suo paese e nel privato anche qui, Samad conosce molto bene il problema della convivenza tra italiani e stranieri e da anni lavora per superare le barriere. 

 

Darmouch, quando è nata e che cos’è Averroè?

Averroè è un’associazione di intermediazione culturale che è nata per mia volontà l’1 aprile del 2012. E’ una necessità sociale che hanno le famiglie straniere e le scuole italiane. E’ un anello di contatto tra l’ambiente educativo e la famiglia extracomunitaria perché spesso lo straniero è diffidente e perde l’opportunità di collaborare perché non conosce la lingua e le abitudini. La scuola stessa è debole, perché non ha indicazioni socio-culturali sulla provenienza dell’alunno.

 

Qual è la priorità di Averroè? E a chi si rivolge principalmente?

La collaborazione è al centro di ogni nostra azione. Gli insegnanti dovrebbero essere più formati sul tema dell’inter-culturalità e le famiglie devono imparare a credere nelle scuole. Il problema riguarda anche la famiglia dell’immigrato, nella quale la donna ha meno voce in capitolo rispetto al marito. Noi parliamo principalmente con i mariti per spiegare loro la differenza delle abitudini italiane. Molte donne intervengono agli incontri, perché i mariti stessi sono più aperti e ci tengono ad integrare la loro famiglia. Dove c’è ignoranza è molto più difficile, spesso impossibile. Ci rivolgiamo anche agli alunni stranieri che devono sentirsi inclusi nella realtà italiana e hanno bisogno di esprimere i loro pensieri per fare un passo in avanti verso la loro nuova casa.

 

Che cosa significa superare le barriere delle differenze culturali?

Le culture si devono saper rispettare e si devono fondere ognuna nel rispetto dell’altra. Fondere, non nel senso che devono mescolarsi, ma devono fondere il loro quotidiano nel più profondo rispetto.

 

Sembra un’utopia, secondo lei è davvero possibile?

Per farlo serve la cultura. Ogni cultura presuppone il rispetto. Nell’inter-cultura ogni individuo può dare e prendere. E’ quello il punto di contatto in cui si trova l’integrazione. Se non c’è cultura non ci può essere integrazione.

 

Che cosa deve fare un immigrato per stare bene nel paese straniero dove si stabilisce a vivere?

L’immigrato, se vuole vivere bene e dignitosamente con la sua famiglia e se vuole crescere come persona, non ha altra scelta che l’inter-cultura. Gli stranieri devono essere consapevoli che i loro figli cresceranno qui, che saranno cittadini italiani e come tali avranno usi e costumi diversi da quelli di genitori e nonni. E’ chiaro che ci sarà sempre un background che arriva dal paese di origine, ma questo non deve interferire con la formazione del nuovo cittadino, che deve rispettare le regole come tutti e saper vivere secondo le tradizioni del paese accogliente.

 

Ci spieghi bene il significato di inter-cultura.

Inter-cultura significa tirare fuori il meglio di sé stessi e porlo all’altro. Nessuno deve allontanare la sua cultura. L’immigrato spesso capisce solo la sua cultura, quindi si chiude e si ostina nel suo mondo. Ma più hai voglia di stare bene, più ti metti a disposizione dell’altro.

 

L’integralismo è un concetto che fa paura. Che ruolo ha rispetto all’inter-cultura?

L’integralismo impedisce l’integrazione e fa nascere odio e fanatismo. Chi parte da un punto di riferimento unico sbaglia e non ha possibilità di integrarsi.

 

E qual è il ruolo della religione? Quando si parla di extracomunitari si parla quasi sempre di religione.

La religione è solamente uno degli aspetti della cultura, come la cucina, la lingua, l’abito e l’educazione. Noi di Averroè non partiamo dalla religione, ma consideriamo la cultura in tutti i suoi aspetti. Se si pensa alla differenza tra le culture in modo oggettivo si capisce velocemente che il problema di per sé non esiste. Il problema vero è come l’uomo interpreta il suo piano culturale.

 

Che città è Thiene nei confronti degli stranieri?

Thiene è una città molto tranquilla e tollerante, ricca di associazioni. Conta il 15% di immigranti e molti hanno bisogno di un dialogo inter-culturale.

 

Come sono i giovani stranieri?

Il figlio dell’immigrato è il caso emblematico di inter-culturalità. Spesso conoscono più l’Italia che il loro paese d’origine, vanno a scuola qui e conoscono la terra dei genitori solo da fotografie e televisione.

 

Da cosa deriva il nome Averroè?

E’ il nome di un filosofo della Spagna mussulmana dell’undicesimo secolo. Ha lavorato per interpretare i testi religiosi con la ragione e non con il fanatismo. E’ quello che vogliamo fare noi. Collaborare usando la ragione e il rispetto reciproco, non imponendo una cultura sull’altra. Infatti teniamo i nostri incontri nella Parrocchia di San Vincenzo, che collabora con noi e che noi ringraziamo infinitamente.

 

Da ottobre Averroè organizza un corso di lingua e cultura araba di circa 150 ore. Per informazioni rivolgersi al numero 389 9952498

A.Bia.

Di Redazione Thiene On Line

 

 

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