Simoncini premette che è difficile ottenere dati esaurienti in quanto le informazioni in possesso dell’Inail sui codici Ateco dell’attività prevista e quelli dell’Inps sulle applicazioni contrattuali sono difficili da incrociare. Ciò perché le due banche dati “non si parlano” e, come sottolineato dalla Cgia stessa, in assenza di questa corrispondenza immediata, non è possibile valutare quali contratti collettivi siano applicati dalle imprese con codici Ateco dell’installazione. La spiegazione non convince comunque la sindacalista per due ragioni principali. La prima riguarda le forti protezioni che vengono previste dal contratto dei metalmeccanici e che quindi rendono poco plausibile un suo preordinato utilizzo improprio in un settore dove è notevole il ricorso al nero. La seconda è relativa al Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, ovvero il decreto legislativo 81 del 2008, che prevede un Documento di Valutazione dei Rischi (Dvr) e quindi una formazione specifica in capo all’azienda per ogni luogo di lavoro, a prescindere dall’inquadramento contrattuale del dipendente.
“Ad esempio”, spiega Simoncini all’Agi, “un’azienda meccanica che fa installazione di impianti ha una sua formazione standard e un’altra specifica in corrispondenza con il Dvr, perché un intervento sull’alta velocità presenta rischi diversi da quelli di un intervento in un centro abitato o in un’abitazione privata”. E “il decreto 81 non guarda ai contratti collettivi, quindi la valutazione dei rischi è sempre competenza dell’azienda”.

Un sistema di “polverizzazione del lavoro”

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